Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

martedì 11 dicembre 2012

Hannah Arendt - La banalità del male


I. <<Un processo assomiglia a un dramma in quanto che dal principio alla fine si occupa del protagonista, non della vittima.>>

II. <<Ciò che più colpiva le menti di quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era semplicemente l'idea di essere elementi di un processo grandioso, unico della storia del mondo (''un compito grande,  che si presenta una volta ogni duemila anni'') e perciò gravoso. >>

III. <<"Era prassi comune fare qualche eccezione onde imporre più agevolmente la regola generale", come dice Louis de Jong in un illuminante articolo sugli ebrei e non ebrei nell'Olanda occupata.
Se l'accettazione delle categorie privilegiate fu così disastrosa, fu perché chi chiedeva di essere "eccettuato" implicitamente riconosceva la regola; ma a quanto pare questo fatto non fu mai afferrato da quelle "brave persone" - ebrei e gentili - che si davano da fare per raccomandare ai nazisti i "casi speciali,"  gli individui che potevano aver diritto a un trattamento preferenziale.>>

IV. <<Certo, Kant non si era mai sognato di dire una cosa simile; al contrario, per lui ogni uomo diveniva un legislatore nel momento stesso in cui cominciava ad agire: usando la 'ragion pratica' ciascuno trova i principî  che potrebbero e dovrebbero essere i principî della legge. Ma è anche vero che l'inconsapevole distorsione di Eichmann era in armonia con quella che lo stesso Eichmann chiamava la teoria di Kant "ad uso privato della povera gente". In questa versione ad uso privato, tutto ciò che restava dello spirito kantiano era che l'uomo deve fare qualcosa di più che obbedire alla legge, deve andare al di à della semplice obbedienza e identificare la propria volontà col principio che sta dietro la legge -  la fonte da cui la legge è scaturita. Nella filosofia di Kant questa fonte era la ragion pratica; per Eichmann, era la volontà del Führer.>>

V. <<A Gerusalemme, posto di fronte ai documenti che provavano la sua eccezionale fedeltà a Hitler, Eichmann cercò a più riprese di spiegare che nel Terzo Reich "le parole del Fūhrer avevano forza di legge" (Führerworte haben Gesetzeskraf), il che significava, tra l'altro, che gli ordini di Hitler non avevano bisogno di essere scritti. Cercò di spiegare che era per questo che egli non aveva mai chiesto un ordine scritto di Hitler (e in effetti documenti di questo tipo riguardanti la soluzione finale non sono mai stati trovati e probabilmente non esistettero mai), mentre aveva chiesto di vedere un ordine scritto di Himmler. Certo, questa era una situazione paradossale, e sull'argomento si sono scritti volumi e volumi. In tale sistema "giuridico", ogni ordine contrario nella lettera o nello spirito a una disposizione orale di Hitler era per definizione illegittimo. Perciò la posizione assunta da Eichmann assomigliava spiacevolmente a quella, tante volte citata, del soldato che in un sistema giuridico normale si rifiuta di eseguire ordini che sono contrari all'idea comune della legittimità e che quindi possono da lui essere considerati illegali. La vasta letteratura sull'argomento gioca di solito sull'ambiguità del termine "legge", che in questo contesto significa a volte la legge vigente in un dato paese - cioè il codice esistente, concreto - e a volte la legge che, si suppone, parla con identica voce nel cuore di tutti gli uomini. In pratica, però gli ordini a cui si può disobbedire devono essere "manifestamente illegali" e l'illegalità deve essere "come una bandiera nera che sventola al di sopra di essi con una scritta che dice: 'Proibito',"  secondo la pittoresca espressione adoperata nella sentenza. E sotto un regime criminale questa bandiera nera" con la sua "scritta ammonitrice" sventola su quello che è normalmente un ordine legittimo (per esempio, non uccidere degli innocenti solo perché sono ebrei) nella stessa manifesta maniera in cui sventola,  sotto un regime normale, al di sopra di un ordine criminale. Ripiegare sull'inequivocabile voce della coscienza, o, secondo la terminologia ancor più vaga dei giuristi, su un "generale sentimento di umanità" significa non soltanto aggirare la questione, ma rifiutarsi deliberatamente di prender nota dei principali fenomeni morali, giuridici e politici del nostro secolo.[...] E come nei paesi civili la legge presuppone che la voce della coscienza dica a tutti "Non ammazzare," anche se talvolta l'uomo può avere istinti e tendenze omicide, così la legge della Germania hitleriana pretendeva che la voce della coscienza dicesse a tutti:"Ammazza," anche se gli organizzatori dei massacri sapevano benissimo che ciò era contrario agli istinti e alle tendenze normali della maggior parte della popolazione. Il male, nel Terzo Reich, aveva perduto la proprietà che permette ai più di riconoscerlo per quello che è - la proprietà della tentazione. Molti tedeschi e molti nazisti, probabilmente la stragrande maggioranza, dovettero esser tentati di non uccidere, non rubare, non mandare a morire i loro vicini di casa (ché naturalmente, per quanto non sempre conoscessero gli orridi particolari, essi sapevano che gli ebrei erano trasportati verso la morte); e dovettero esser tentati di non trarre vantaggi da questi crimini e divenirne complici. Ma dio sa quanto bene avessero imparato a resistere a queste tentazioni.>>

VI. <<Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa semilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerrae che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiché ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. [...] I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano più cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Così i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all'autunno del 1943.>>

VII. <<"Non facemmo nulla. Chiunque avesse protestato sul serio o avesse fatto qualcosa contro le unità addette allo sterminio sarebbe stato arrestato entro ventiquattr'ore e sarebbe scomparso. uno dei metodi più raffinati dei regimi totalitari del nostro secolo consiste appunto nell'impedire agli oppositori di morire per le loro idee di una morte grande, drammatica, da martiri. Molti di noi avrebbero accettato una morte del genere. Ma la dittatura fa scomparire i suoi avversari di nascosto, nell'anonimo. È certo che chi avesse preferito affrontare la morte piuttosto che tollerare in silenzio il crimine, avrebbe sacrificato la vita inutilmente. Ciò non vuol dire che il sacrificio sarebbe stato moralmente privo di senso. Ma sarebbe stato praticamente inutile. Nessuno di noi aveva convinzioni così profonde da addossarsi un sacrificio praticamente inutile in nome di un significato superiore:"

L'esempio del sergente Anton Schmidt sta però a dimostrare non tanto la vuotezza della rispettabilità (poiché in circostanze come quelle la rettitudine si riduce semplicemente a rispettabilità), quanto la vuotezza di tutto il ragionamento, che pure a prima vista sembra ineccepibile. È vero che il regime hitleriano cercava di creare vuoti di oblio ove scomparisse ogni differenza tra il bene e il male, ma come i febbrili tentativi compiuti dai nazisti dal giugno 1942 in poi per cancellare ogni traccia dei massacri (con la cremazione, con l'incendio in pozzi, con gli esplosivi e i lanciafiamme, e macchine che frantumavano le ossa) furono condannati al fallimento, così anche tutti tutti i loro sforzi di far scomparire gli oppositori "di nascosto, nell'anonimo," furono vani. I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E perciò nulla può mai essere "praticamente inutile," almeno non a lunga scadenza.>>

VIII. <<Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atricità messe insieme, poiché implica - come già fu detto e ripetuto a Norimberga, perché là i grandi criminali di guerra avevano sì sostenuto di avere obbedito a "ordini superiori", ma al tempo stesso si erano anche vantati di avere ogni tanto disobbedito, e perciò era stato più facile...

giovedì 29 novembre 2012

Cicerone - Le Tuscolane

I. <<"Pianta alberi che frutteranno per la generazione seguente": il personaggio che si esprime così nei Sinefebi, che altro intende dire, se non che anche le future generazioni lo riguardano? Dunque il coscienzioso agricoltore pianterà alberi  di cui egli non vedrà mai i frutti, e il grande uomo non "pianterà" leggi, istituzioni, stato?>>

II. <<E i nostri filosofi? Non appongono forse la loro firma proprio ai libri che scrivono sul disprezzo della gloria? Se è vero che l'unanimità del consenso è voce della natura, e se tutti gli uomini, in ogni parte del mondo, concordano sull'esistenza di qualcosa che riguarda chi è uscito dalla vita, anche noi dobbiamo adeguarci a questa opinione; se inoltre riterremo che, proprio per l'eccellenza della loro natura, i più capaci di individuare la potenza della natura sono coloro iil cui animo si distingue per ingegno o virtù, è verosimile, visto che tutti i migliori si mettono al servizio della posterità, che esista qualcosa di cui essi avranno la sensazione dopo la morte.>>

III. <<Eppure vogliono che questi simulacri parlino, cosa impossibile senza lingua, senza palato, senza l'uso di organi quali gola, torace, polmoni. Con la mente infatti non riuscivano a vedere nulla, e riportavano tutto al controllo degli occhi. D'altra parte solo un ingegno notevole è in grado di staccare la mente dai sensi e dipingere il pensiero su vie inconsuete. Magni autem est ingeni seuocare mantem a sensibus et cogitationem ab consuetudine abducere.>>

IV. <<E poiché di solito sono gli ardori del corpo a suscitare in noi la fiamma di quasi tutte le passioni, e tanto più ci sentiamo bruciare perché vogliamo competere con coloro che posseggono ciò che noi desideriamo, raggiungeremo certamente la felicità quando, abbandonato il corpo, saremo liberi sia dalle passioni sia delle rivalità; e quelle attività che nascono dal desiderio di osservare o esaminare qualcosa, alle quali ora ci dedichiamo quando siamo liberi da preoccupazioni, saranno allora per noi molto più semplicemente realizzabili, e ci dedicheremo totalmente alla contemplazione e alla ricerca, dal momento che è innata nella nostra mente una sorta di insaziabile brama di vedere la verità, e la natura stessa dei luoghi dove giungeremo, rendendoci più facile la conoscenza delle cose celesti, aumenterà il nostro desiderio di conoscerle.>>

V. <<Immaginiamo quale sarà lo spettacolo, quando potremo contemplare la terra intera, e di essa vedere non solo la posizione, la forma, la circonferenza, ma anche distinguere le regioni abitabili da quelle del tutto prive di vita per l'eccessiva violenza del freddo o del caldo.>>

VI. <<Anche ora d'altronde, non sono gli occhi a farci distinguere ciò che vediamo: non c'è infatti nel corpo alcuna facoltà di percepire, ma come insegnano sia i naturalisti, sia soprattutto i medici, che conoscono bene questi organi per averli visti, sezionati e messi in evidenza, esistono nel nostro corpo quasi delle "condutture", che dalla sede dell'anima portano agli occhi, agli orecchi, alle narici. Questo è il motivo per cui spesso, se siamo immersi in qualche pensiero o siamo colpiti da qualche grave malattia, ci capita di non vedere né udire alcunché, pur avendo gli occhi e gli orecchi aperti e in piena efficienza: da ciò si può facilmente arguire che a vedere e udire è l'anima, non quelle parti che potremmo si considerare come finestre dell'anima, ma che non darebbero mai alla mente la capacità di percepire, se non ci fosse da parte sua viva attenzione e impegno. E che dire del fatto che una stessa mente ci permette di percepire cose tanto diverse come il colore, il sapore, l'odore, il suono? Mai l'anima sarebbe in grado di riconoscerle attraverso i suoi cinque messaggeri, se non facessero tutte capo a lei, e non fosse essa stessa l'unico loro giudice. Dunque certamente tali percezioni ci appariranno di gran lunga più pure e limpide quando l'anima , libera, avrà finalmente raggiunto la sua destinazione naturale. Ora infatti, per quanto eccezionale sia l'arte con cui la natura ha realizzato quei fori che aprono un passaggio dal corpo all'anima, questi rimangono pur sempre in qualche modo ostruiti da particelle di materia terrena; ma quando non ci sarà più nulla tranne l'anima, allora nessun ostacolo le impedirà di percepire la qualità di ogni cosa.>>

VII. <<L'anima non ha forza sufficiente a vedere se stessa. Ma come succede agli occhi, l'anima, pur non vedendo se stessa, distingue le altre cose. Quel che non vede  - ed è cosa di minima importanza - è il suo aspetto (per quanto, è possibile che veda anche questo, ma lasciamo andare); vede però certamente la sua forza, la sagacia, la memoria, il moto, la velocità. Quale sia precisamente il suo aspetto o dove abiti, non vale proprio la pena di chiederselo.>>

VIII. <<Se dunque la natura vuole che, come la nascita è per noi l'inizio di ogni cosa, così la morte ne sia la fine, allo stesso modo, come nulla ci riguardò prima della nascita, così nulla ci riguarderà dopo la morte.>>

IX. <<Più rigido Diogene, le cui opinioni peraltro erano le stesse; ma, più bruscamente, da cinico, ordinò che lo si lasciasse senza sepoltura. Allora gli amici: "esposto agli uccelli e alle fiere?". "No davvero," rispose "mettete piuttosto vicino a me un bastone da usare per scacciarli." E quelli: "Come potrai, se non avrai sensibilità?". "Che danno mi procurerà allora il morso delle fiere, se non sentirò nulla?>>

X. <<L'effetto della filosofia è infatti questo: cura l'anima, toglie le preoccupazioni inutili, libera dai desideri, scaccia i timori.>>

XI.  <<Quanti ne puoi trovare, tra i filosofi, la cui condotta, il cui modo di pensare e di vivere siano conformi ai requisiti della ragione? Che considerino il loro insegnamento non come una occasione per dimostrare il loro sapere, ma come una legge di vita? Che siano i primi a ubbidire a se stessi, e a seguire i princìpi da loro stabiliti?>>

XII. <<C'è nell'anima di quasi tutti gli uomini un qualcosa che per natura è tenero, debole, umile, senza nerbo per così dire, e languido. Se non ci fosse altro, non ci sarebbe nulla di più spregevole dell'uomo; invece ecco pronta la ragione, signora e regina di tutto, che valendosi delle sue forze e procedendo sempre più avanti diventa perfetta virtù. Che sia essa a comandare a quella parte dell'anima che deve ubbidire, è ciò cui l'uomo deve mirare.>>

XIII. <<Ci sono infatti delle analogie tra l'anima e il corpo: come i pesi si trasportano più facilmente con i muscoli tesi, mentre, se questi si allentano, i pesi ci schiacciano , nello stesso identico modo l'anima con la sua tensione allontana l'oppressione di ogni peso, mentre se si lascia andare viene oppressa al punto da non riuscire a risollevarsi. E, se vogliamo essere sinceri,  nell'adempimento di tutti i doveri occorre la tensione dell'anima; essa è per così dire la sola custode del dovere.>>

XIV. <<Anzi, a dire il vero, a me sembra degno di maggior lode tutto ciò che avviene senza ostentazione e lontano dal giudizio della gente, non perché si debba fuggirne, (tutte le buone azioni amano essere messe in luce), ma certo per la virtù non c'è pubblico più importante della coscienza.>><<Sed tamen nullum theatrum uirtuti coscientia maius est.>>

XV. <<Mirabili anche le parole di Anassagora che a Lampsaco, in punto di morte, agli amici che gli chiedevano se volesse essere trasportato a Clazomene, la sua patria, nel caso fosse successo qualcosa, rispose: "Non c'è bisogno: qualunque sia il punto di partenza, la lunghezza della strada per gli Inferi non cambia".>>

XVI. <<Le critiche sono mal tollerate da coloro che si sono per così dire votati e consacrati ad alcune idee fisse e ben determinate, per cui si trovano costretti a sostenere, per coerenza, anche ciò che di solito non approvano; io invece, che seguo il principio della probabilità e non posso avventurarmi al di fuori di ciò che si presenta come verosimile, sono pronto sia a confutare senza ostinazione, sia a lasciarmi confutare senza adirarmi.>>

martedì 20 novembre 2012

Cicerone - Verrine - Orazioni I e II



I. <<Giudici, il senso del dovere, la lealtà, la compassione, l'esempio di molti uomini dabbene, l'antica consuetudine e la tradizione istituita dai nostri antenati mi indussero a sentirmi obbligato ad assumere l'onere di questa fatica, di questo dovere, nell'interesse non mio ma dei miei clienti. In questo affare, giudici, c'è tuttavia una cosa che mi consola: questa che sembra un'accusa si deve considerare non tanto un'accusa ma piuttosto una difesa. Difendendo infatti molti uomini, molte città, la Sicilia intera. Perciò, dato che devo accusare una sola persona, mi sembra quasi di restare fedele alla norma di condotta che mi sono prefissa e non discostarmi affatto dal difendere e aiutare la gente.>>

II. <<In questo processo, io penso, la causa dei Siciliani l'ho accettata, quello del popolo romano me la sono assunta io; per conseguenza non devo abbattere un solo individuo malvagio, come mi hanno chiesto i Siciliani, ma devo estinguere e annientare la malvagità in generale, come il popolo romano reclama già da tempo. Come io possa districarmi in questo compito o che risultato possa ottenere, preferisco lasciarlo alla speranza d'altri piuttosto che esporre nel mio discorso.>>

III. <<Non c'è nulla infatti più insopportabile che chi chiede conto della vita a un altro non possa render conto della propria>> <<Primum integritatem atque innocentiam singularem; nihil est enim quod minus ferendum sit quam rationem ab altero uitae resposcere eum qui non possit suae reddere.>>

IV. <<Perciò non dico nulla del mio ingegno: non c'è nulla che io possa dire, né, se ci fosse, lo direi; infatti, o mi basta l'opinione che si ha di me, qualunque essa sia, oppure, se è scarsa, non posso accrescerla facendone menzione.>> <<Quam ob rem nihil dico de meo ingenio, neque est quod possim dicere neque si esset dicerem; aut enim id mihi satis est quod est de me opinionis, quidquid est, aut, si id parum est, ego maius id commemorando facere non possum.>>

V.. <<Poi, credo, ha Alieno, e questo per lo meno è un avvocato: alla sua abilità come oratore non sono mai stato abbastanza attento, ma quanto a gridare vedo che è assai robusto ed esercitato.>>


VI.. <<E certamente, per il nostro stato malato e in condizioni quasi disperate, e per l'amministrazione della giustizia, corrotta e profanata per colpa e disonestà di pochi, o si adotta il rimedio che per la difesa delle leggi e per il prestigio dell'amministrazione giudiziaria intervengano persone oneste, disinteressate e scrupolose al massimo grado, oppure se neppur questo potrà giovare, certo non si troverà mai nessuna medicina per guarire questi malanni tanto numerosi>>

VII. <<Già da tempo infatti è invalsa questa opinione, dannosa per lo stato e pericolosa per voi, che si è diffusa per i discorsi di tutti non solo fra il popolo romano ma anch e fra le nazioni estere: con l'attuale amministrazione della giustizia un uomo danaroso, colpevole quanti si voglia, non può in nessun caso essere condannato.>>

lunedì 19 novembre 2012

Filosofia antica - appunti sparsi




I. La natura della ricerca filosofica

Il filosofo aspira a conoscere tutte le cose per quanto è possibile. L'universale inteso in questo senso non significa l'universale di carattere logico, che è astrazione concettuale, ma un Principio primo e supremo, dal quale dipendono tutte le cose.
Pertanto, la domanda sull'intero viene a coincidere con la domanda sul Principio fondante ovvero con la domanda sul perché ultimo di tutte le cose.
In conclusione, tutti i filosofi greci, dalle origini agli ultimi tempi, hanno considerato la filosofia come un tentativo di dar senso a tutte le cose, riportabile ai loro fondamenti ultimi e interpretandole in funzione di questi, e quindi come il tentativo di misurarsi come intero.

II. Definizione di Metafisica

Si intende per metafisica la scienza di quelle realtà che trascendono quelle fisiche.

III. Concetto Parmenideo dell'essere 

Parmenide nel suo poema Sulla Natura, che è il più grande testo metafisico dei Presocratici, ha messo in rilievo il concetto di essere, negando al non essere qualsiasi realtà e qualsiasi possibilità di venir pensato ed espresso. Platone, tuttavia, sotto le spoglie dello Straniero di Elea, afferma che il non-essere è, se viene inteso nel senso nel senso di diverso. Questa ammissione implica il superamento del monismo eleatico e l'introduzione strutturale della pluralità.

IV. Analogie e diversità tra l'henologia platonica e l'ontologia aristotelica

Platone ha posto l'Uno al di sopra dell'essere he ha fatto derivare l'essere stesso dall'Uno, Aristotele, invece ha assorbito l'Uno nell'essere subordinandolo a esso.
Per platone l'essere è un misto di limite e illimite, e il limite è appunto un modo in cui l'Uno si attua, o comunque derivato dall'Uno. Perciò, l'essere deriva dall'Uno, o comunque consegue all'Uno. Invece per Aristotele l'essere è proprio l'originario, e l'uno consegue all'essere, o, comunque, è strutturalmente la medesima cosa, diffenziata solo concettualmente.

domenica 18 novembre 2012

Repubblica - Libro V - Platone



I. <<Perché - spiegai- mi sembra che nella sua rete caschino in molti senza che nemmeno se ne accorgano, quando, convinti di discutere, non fanno altro che cavillare. E ciò è dovuto al fatto che essi non sono in grado di sviscerare l'argomento trattato, dividendolo per generi e pertanto, nel discorso, vanno a caccia di contraddizioni solo giocando sulle parole: insomma, usano l'uno contro l'altro l'eristica e non la dialettica.>>

II. <<Allora, caro amico, non c'è alcuna pubblica funzione che sia riservata alla donna in quanto donna, o all'uomo in quanto uomo, ma fra i due sessi la natura ha distribuito equamente le attitudini, cosicché la donna, appunto per la sua natura, può svolgere tutti gli stessi compiti che svolge l'uomo, solo che in ciascuno di questi essi si rivela meno forte dell'uomo.>>

III. <<È dunque giusto che le donne dei Custodi si spoglino, quando a coprirle, anziché la veste, è la virtù.>>

IV. <<"Ad esempio, quando noi subiamo una ferita a un dito, la sensazione è avvertita dal complesso del corpo e dall'anima il quale è integrato in un'unica struttura ordinata imposta dalla parte dominante, presente nell'anima; in tal modo tutto l'insieme si duole con la parte sofferente, talché noi siamo soliti dire che è l'uomo ad avere male al dito. E lo stesso non vale anche per ogni altra parte del corpo per il dolore se la parte è dolorante, e per il piacere se la parte riacquista buona salute?"

"Si, proprio lo stesso - disse lui - . E per tornare alla tua domanda, direi che l'organismo umano assomiglia molto a una Città perfettamente organizzata"

"E quando anche a un solo cittadino capitasse qualcosa di bello o di brutto, uno Stato così fatto riconoscerebbe come propria la condizione di quel cittadino, e tutto intero soffrirebbe con lui o si rallegrerebbe"

"Necessariamente - disse -, purché sia ben amministrato." >>

V. <<"Caro Glaucone - iniziai -, non ci sarebbe tregua dai mali nelle Città, e forse neppure nel genere umano, e direi di più, quella stessa costituzione che andiamo delineando, non metterebbe radici fra le cose possibili né vedrebbe la luce del sole se prima i filosofi non raggiungessero il potere negli Stati, oppure se quelli che oggi si arrogano il titolo di re e di sovrani non si mettessero a filosofare seriamente  e nel giusto modo, sì da far coincidere nella medesima persona l'una funzione e l'altra - ossia il potere politico e la filosofia - e da mettere fuori gioco quei molti che ora perseguono l'una cosa e l'altra.>>

lunedì 12 novembre 2012

Sallustio - La congiura di Catilina


         De coniuratione Catilinae


I. <<Tutti gli uomini che mirano a emergere su gli altri esseri animati debbono impegnarsi con il massimo sforzo, se non vogliono trascorrere l'esistenza oscuri, a guisa di pecore, che la natura ha create prone a terra e schiave del ventre. Nell'uomo, peraltro, le facoltà risiedono tnato nell'animo quanto nel corpo: il primo serve da guida, il secondo da strumento, perché l'animo l'abbiamo in comune con gli dèi, il corpo con gli esseri bruti.>>

II. <<Fugace, fragile è la rinomanza che deriva dalla ricchezza e dai pregi del volto, ma la nobilità dell'animo splende di vivo lume per sempre.>>

III. <<Avido dell'altrui, prodigo del suo; ardente nelle passioni, non privo d'eloquenza, ma di poco giudizio; un animo sfrenato, sempre teso a cose smisurate, incredibili, estreme.>>

IV. <<L'avidità altro non è che l'amore per il denaro; e il saggio non ne ha desiderato mai. Essa , quasi fosse intrisa di veleni mortali, snerva il corpo e l'anima più virile; non conosce limiti ne sazietà, non l'attenuano né l'opulenza né il bisogno.>>

V. <<In questo atteggiamento (la plebe), non si discostava dal suo costume: nello stato, infatti, chi non possiede nulla immancabilmente invidia i benestanti e porta alle stelle i miserabili; detesta l'antico ordine, agogna la novità. Esasperati per la loro situazione, mirano a sovvertire ogni cosa; nei torbidi, nei disordini si trovano a loro agio, poiché la miseria rende immuni da perdite.>>

VI. <<Noi invece che cosa abbiamo? Amore del lusso, cupidigia, la miseria nelle finanze pubbliche, la ricchezza in quelle private; teniamo in pregio gli averi, ma ci piace stare senza far nulla; non c'è più distinzione tra furfanti e galantuomini; gli imbroglioni si accaparrano i premi dovuti ai meritevoli. E non c'è da meravigliarsi: ciascuno di voi delibera soltanto a vantaggio dei suoi interessi, a casa siete schiavi dei piaceri, qui del denaro e del favoritismo; ecco perché c'è chi si getta su una repubblica senza difesa!>>

martedì 6 novembre 2012

Dall'Esilio - Iosif Brodskij



I. <<Se i padroni di questo mondo avessero letto un po' di più, sarebbero un po' meno gravi il malgoverno e le sofferenze che spingono milioni di persone a mettersi in viaggio. [...] dobbiamo pur sempre ritenere che la letteratura sia l'unica forma di assicurazione morale di cui una società più disporre; che essa sia l'antidoto permanente alla legge della giungla; che essa offra l'argomento migliore contro qualsiasi soluzione di massa che agisca sugli uomini con la delicatezza di una ruspa - se non altro perché la diversità umana è la materia prima della letteratura, oltre a costruire la ragion d'essere.>>

II. <<Il passato, piacevole o penoso che sia, è invariabilmente un territorio sicuro, se non altro perché se n'è già fatta l'esperienza; e la capacità della specie di fare marcia indietro, di correre a ritroso - soprattutto con i pensiero o nei sogni, perché anche qui ci sentiamo generalmente al sicuro -  è fortissima in tutti noi, quale che sia la realtà che abbiamo di fronte.>>

III. <<Possiamo discutere ad infinitum delle nostre responsabilità e dei nostri doveri (verso i nostri rispettivi contemporanei, verso le rispettive patrie, non-patrie, culture, condizioni, eccetera), ma non dovrebbe diventare argomento di discussione o di esitazione questa responsabilità o, piuttosto, opportunità di aiutare il prossimo uomo - per quanto teorico possa essere, nella sua persona e nelle sue esigenze - a sentirsi un po' più libero. Se queste parole vi sembrano un tantino troppo elevate e umanistiche, be', me ne rincresce. In realtà non sono tanto umanistiche quanto deterministiche, acneh se non è il caso di fare distinzioni così sottili. Quel che cerco di dire è semplicemente che, avendo un'opportunità , nella grande catena causale delle cose, potremmo anche smetterla di esserne soltanto i rumorosi effetti per provare invece a giocare alle cause.>>

IV. <<Ma forse c'è in noi un valore più grande e una funzione più grande: noi siamo infatti involontarie personificazioni dell'idea sconsolante che un uomo liberato non è un uomo libero, che la liberazione è soltanto il mezzo per arrivare alla libertà e non ne è sinonimo.>>

V.<<Il compito di un uomo, si tratti di uno scrittore o di un lettore, sta prima di tutto nel vivere una vita propria, di cui sia padrone, non già una vita imposta o prescritta dall'esterno, per quanto nobile possa essere all'apparenza>>

VI. <<La lingua e, presumibilmente , la letteratura sono cose più antiche e inevitabili, più durevoli di qualsiasi forma di organizzazione sociale. Il disgusto, l'ironia o l'indifferenza che la letteratura esprime spesso nei confronti dello Stato sono in sostanza la reazione del permanente - meglio ancora, dell'infinito - ei confronti del provvisorio, del finito. Per non dire altro, fintanto che lo Stato si permette di immischiarsi negli affari della letteratura, la letteratura ha il diritto di immischiarsi negli affari dello Stato.>>

VII. <<La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l'esperienza estetica è sempre un'esperienza privata. Ogni nuova realtà estetica rende ancora più privata l'esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volta la forma del gusto (letterario o d'altro genere), può già di per sé costituire, se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l'asservimento. [...] Quanto più ricca è l'esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero - anche se non necessariamente più felice - sarà lui stesso.>>

VIII. <<Un romanzo o una poesia non è un monologo, bensì una conversazione tra uno scrittore e un lettore: una conversazione , ripeto, del tutto privata, che esclude tutti gli altri - un atto, se si vuole, di reciproca misantropia. E nel momento in cui questa conversazione avviene lo scrittore è uguale al lettore, come del resto viceversa, e non importa che lo scrittore sia grande o meno grande. Questa uguaglianza è  l'uguaglianza della coscienza. Essa rimane in una persona per il resto della vita sotto forma di ricordo, nebuloso o preciso; e presto o tardi, a proposito o a sproposito, condiziona la condotta dell'individuo.>>

IX. <<Nella storia della nostra specie, nella storia dell'homo sapiens, il libro è un fenomeno antropologico analogo in sostanza alla invenzione della ruota. Il libro, nato perché noi ci rendessimo conto non tanto delle nostre origini quanto delle possibilità intrinseche dell'homo sapiens, è un mezzo di trasporto attraverso lo spazio dell'esperienza, alla velocità della pagina voltata. Questo movimento a sua volta, come ogni movimento, diventa fuga dal denominatore comune, diventa un tentativo di innalzare la linea di questo denominatore - che inizialmente non arriva più su della cintola - fino al cuore, alla nostra coscienza, alla nostra immaginazione. Questa fuga è la fuga verso il <<volto non comune>>, in direzione del numeratore, della personalità, della dimensione privata. >>

X. <<Io non chiedo che si sostituisca lo Stato con una biblioteca - benché quest'idea abbia visitato più volte la mia mente - ; ma per me non c'è dubbio che, se scegliessimo i nostri governanti sulla base della loro esperienza di lettori, e non sulla base dei loro programmi politic, ci sarebbe assai meno sofferenza sulla terra.>>

sabato 27 ottobre 2012

Perché non sono cristiano. - Bertrand Russell

I. <<La fede in Dio serve tuttora a umanizzare il mondo della natura, e a dare all'uomo la sensazione che le forze fisiche siano sue alleate.>>


II. <<Non sono giovane e amo la vita ma disdegno di abbatermi al pensiero dell'annietamento. La felicità non è meno vera, anche se deve finire.>>


III. <<Non appena le asserzioni di una determinata persona divengono verità assolute, c'è tutta una schiera di esperti che si incarica di interpretarle, e sono questi esperti che, infallibilmente, diventano potenti perché dicono di possedere la chiave della verità, e, come tutte le caste privilegiate, sfruttano il potere a proprio vantaggio. Siccome, poi, il loro compito è la diffusione della verità immutabile e assoluta, diventano necessariamente contrari a qualsiasi progresso intellettuale e morale.>>

IV.<<Se cristianesimo è verità, l'uomo non è il misero verme che si dice, poiché questo verme suscita l'interesse del Creatore dell'universo, il quale si preoccupa  di noi e ci segue da vicino. Se Dio fa questo, è molto cortese nei nostri riguardi. Noi  non stiamo certo a osservare un nido di formiche, per sapere quali di esse hanno compiuto il loro dovere e quali sono state negligenti. C'è poi la teoria, relativamente moderna,  che l'evoluzione cosmica è tutta destinata a procurare  quei risultati che noi definiamo buoni, vale a dire quei risultati che ci procurano piacere. È lusinghiero supporre che l'universo sia regolato da un Essere che ha i nostri stessi gusti e pregiudizi.>>

V. <<Dio e immortalità, dogmi basilari della religione cristiana, non hanno alcun fondamento scientifico. Queste dottrine non sono essenziali alla religione: il buddismo infatti non le contempla. Per noi occidentali, al contrario, queste dottrine sono il minimo indispensabile per una qualsiasi teologia. Senza dubbio si continuerà a credere in questi due dogmi, perché sono piacevoli, così come è piacevole ritenere virtuosi noi stesi e cattivi i nostri nemici.>>

VI. << La religione è un tentativo di sopraffare questa antitesi (spirito-materia) Se il mondo è controllato da Dio, e Dio può essere commosso dalla preghiera, l'uomo acquisisce parte dell'onnipotenza. [...]  La fede in Dio serve tuttora a umanizzare il mondo della natura, e a dare all'uomo la sensazione che le forze fisiche siano sue alleate. Similmente l'immortalità allontana il terrore della morte. Chi morendo, crede di entrare nella vita eterna dovrebbe guardare la morte senza orrore, ma, fortunatamente per i medici, questo avviene ben di rado. Tuttavia, questa fede nell'immortalità attenua un poco la paura degli uomini anche se non può ] So  che alla mia morte dovrò imputridire e che nulla  del mio ego sopravvivrà. Non sono giovane e amo la vita ma disdegno di abbattermi al pensiero dell'annientamento. La felicità non è meno vera, anche se deve finire. Il pensiero e l'amore non perdono il loro valore se non sono eterni. Anche se le finestre spalancate della scienza al primo momento ci fanno rabbrividire, abituati come siamo al confortevole tepore casalingo dei miti tradizionali, alla fine l'aria fresca ci rinvigorirà.>>

VII. <<La vita retta, come noi la concepiamo, richiede una quantità di presupposti sociali, senza i quali non può essere realizzata: essa deve essere ispirata dall'amore e guidata dalla conoscenza. La conoscenza necessaria può esistere soltanto dove la classe dirigente  impegni se stessa a diffonderla. Il sapere scientifico, storico, letterario e artistico dovrebbe essere messo alla portata di tutti con giusti provvedimenti da parte delle pubbliche autorità. Pur nella differenza tra vita onesta e vita disonesta il mondo è un'unità , e colui che pretende di vivere la propria vita avulso dalla società è un parassita più o meno consapevole.>>

IIX. <<Una volta l'uomo era soggetto alla natura; alla natura inanimata: clima e terreno; e alla natura propria: istinto di conservazione dell'individuo e della specie. Questo senso di soggezione venne sfruttato dalla religione, la quale trasformò la paura in dovere, e la rassegnazione in virtù. L'uomo moderno, che finora sembra esistere in pochissimi esemplari, vede tutto sotto un altro aspetto. Il mondo materiale non è per lui un ato che si deve accettare con riconoscenza o implorare con devote suppliche; è il grezzo materiale delle sue manipolazioni scientifiche. A un deserto bisogna portare acqua; da una palude malsana bisogna toglierla. Né la palude né il deserto possono conservare indefinitamente la loro naturale ostilità all'uomo. Nella lotta con la natura fisica, non abbiamo più bisogno che Dio ci aiuti contro Satana.>>

IX. <<Il peccato è ciò che spiace a coloro che sovrintendono all'educazione. Ai detentori del potere scientifico incombe una nuova e grave responsabilità. Sino a ora l'umanità è sopravvissuta perché, per quanto folli fossero i suoi intenti, essa non possedeva le conoscenze necessarie per conseguirli. Ora che questa conoscenza sta per essere acquisita, s'impone un più alto grado di saggezza nel considerare gli scopi della vita.>>

venerdì 14 settembre 2012

Prometeo incatenato - Eschilo



I. <<Cielo divino, aliti di vento,
rapide ali di vento, sorgenti di fiumi,
sorriso interminabile del mare,
terra madre di tutto,
e tuo occhio del sole onniveggente
io v'invoco, guardate
un dio che soffre a causa degli dèi.
Guardate quale pena mi consuma
e quale obbrobrio, e mi torturerà
nel tempo, nelle annate interminabili.
Il nuovo signore dei beati
trovò per me catene di vergogna.
Ahi, ahi,
lamento una sventura
 che è ora e che sarà:
e quando dovrà sorgere
l'ultimo giorno della mia sventura?
No, che mi dico: tutto il futuro
conosco esatto e chiaro,
mai nessuna sventura verrà nuova.
Bisogna che sopporti la mia sorte,
paziente, riconosca
che la forza del fato non si vince.
Ma non posso tacere né gridare
la mia sorte, il mio essere. Ho spartito
con i mortali un dono degli dèi;
per questo fui inchiodato al mio destino.
Cercai la scaturigine segreta
del fuoco che si cela nel midollo
della canna, maestro d'ogni arte,
via che si apre. Questo fu il peccato
di cui pago la pena
inchiodato e in catena in faccia al cielo.>>

II. <<Piango la tua rovina
Prometeo, il pianto dagli occhi
si effonde sulle guance
come un tenero fiume>>

III. <<Parlerò senza biasimo degli uomini,
ma narrerò l'amore del mio dono.
Essi avevano occhi e non vedevano,
avevano le orecchie e non udivano,
somigliavano a immagini di sogno,
perduravano un tempo lungo e vago
e confuso, [...] e infine per loro scoprii
il numero , la prima conoscenza,
e i segni scritti come si compongono,
la memoria di tutto, che è la madre
operosa del coro delle Muse.>>

martedì 11 settembre 2012

American Ground


Langewiesche ha scritto questo libro dopo essere stato l'unico giornalista a cui è stato concesso l'ingresso e la permanenza nello spazio di ground zero. Ci porta una cronaca dettagliata e secca delle lotte per la conquista delle macerie. Nonostante abbia passato mesi in un campo disseminato di morte e distruzione, il suo racconto è limpido, scevro di retorica e di un'imparzialità all'apparenza straordinaria. Interessante l'analisi antropologica e sociologica che effettua sulle varie lotte tra "bande" (Polizia, edili, pompieri), che inaspettatamente sono avvenute per il controllo dei lavori di sgombero.


<<Quando vedi che addirittura quelli dell'EPA vanno in giro armati, cominci a farti delle domande. Che se ne fa un ambientalista di una glock? A chi vuole sparare?>>

<<E poi ovviamente, c'era il Cumulo. Durante i crolli lì si era concentrata un'energia terribile, feroce, e adesso, nel corso dei lavori di rimozione, era di nuovo al centro della scena. Quel cumulo di macerie era qualcosa di estremo già di per sè. Non erano soltanto le rovine di sette grandi edifici, ma una desolazione di acciaio contorto, smisurata, inconcepibile, con pendii montagnosi che esalavano fumo e fiamme, dove si aggiravano dinosauri a diesel. Ed era cosparso di resti umani. Il Cumulo palpitava, gemeva, si modificava in continuazione, e in qualsiasi momento poteva uccidere ancora. Gli uomini non cercavano semplicemente di sgombrarlo, ma ci tornavano giorno e notte per avventarcisi contro. Il  Cumulo era il nemico, l'obiettivo, l'ossessione, il terreno conquistato a palmo a palmo.>>

<<Serviamo l'intera New York City. Ci occupiamo di chiunque muoia in seguito a lesioni o incidenti -  a un evento traumatico., insomma. Deve capire bene la differenza tra causa, meccanismo e lesione  che a loro volta fanno scattare il meccanismo. Il meccanismo è il complesso delle dinamiche fisiopatologiche per mezzo delle quali la malattia e/o lesione esercitano la propria letalità. La modalità invece è un sistema di classificazione, come se la morte fosse un quiz a risposta multipla. Abbiamo sei modalità tra cui scegliere. Primo, la morte naturale, ovvero causata esclusivamente da malattia.Secondo, la morte accidentale, ovvero causata da una ferita che a sua volta deriva da una sequenza di eventi non pianificati da un incidente appunto, e che cos'è un incidente lo impariamo la seconda volta che rovesciamo il latte mentre facciamo colazione. "Oops, mamma, è stato un incidente". Terzo, l'omicidio, ovvero la morte per mano di terzi con vari gradi di intenzionalità. Quarto, il suicidio, ovvero la morte per mano propria e se sempre con un certo grado di premeditazione; che poi in pratica è un auto-omicidio, se vuole. Quinta modalità, le complicazioni terapeutiche; è un caso un po' complicato, ma il modo più semplice per capirlo è la logica del paziente, "senza" la terapia appunto, sarebbe vivo. Sesto, l'indeterminato, ovvero quando non riusciamo a descrivere la modalità della morte con ragionevole certezza medica>>.

<<Invece a volte ci si rende conto che le persone sono un po' come le banane. Lei compra un casco di banane, le mette lì sul ripiano della cucina,ne mangia qualcuna,ma ce n'è sempre un paio che avanza e si copre di macchioline - presto le passa la voglia di mangiarle. Allora le mette nel frigo per farci un frullato, ma finiscono sempre in fondo al ripiano. Passano magari mesi, e un giorno se le ritrova in mano. "Che è 'sta roba?" Niente, è una banana marcia, uguale a tutte le altre banane marce. Le persone sono così. Lasciate lì , morte, in ambienti caldi, alla fine non si distinguono più.>>

<<Le radici di questo strano tribalismo erano così primitive che si possono comprendere solo in termini istintuali. All'origine di tutto c'era la mentalità del <<noi contro loro>>, che nasce dal semplice fatto di portare l'uniforme. Sia tra i pompieri, sia nei due copri di polizia (quella cittadina e quella della Port Authority), il personale impegnato sull'area del Trade Center proveniva in maggioranza dagli stessi sobborghi - perlopiù bianchi - e dalle stesse famiglie, ma poi l'appartenenza alle rispettive organizzazioni aveva instillato un senso di diffidenza, se non di aperta ostilità, verso i membri degli altri corpi. Era un'inimicizia storica, e non facilmente sradicabile, perché tanto più forte quanto più ci si avvicinava al fondo della gerarchia. Al cantiere la chiamavano <<la Battaglia dei Distintivi>>. In realtà andava avanti da anni, con continue discussioni sul controllo del territorio e persino episodi di aperto ostruzionismo in occasione di singole emergenze.>>

sabato 11 agosto 2012

Seneca - La provvidenza - La brevità della vita.

I. <<Fuggite le mollezze, fuggite una prosperità che vi snerva e svigorisce l'animo e, se non interviene qualcosa che gli ricordi la sorte umana, lo fa marcire come nel sopore di una continua ubriachezza. A chi i vetri hanno sempre protetto dalle correnti, a chi tiene i piedi caldi con impacchi sempre rinnovati, a chi regola la temperatura delle sale da pranzo con caloriferi inglobati nel pavimento o nelle pareti, un soffio d'aria potrà far male.>>

II. <<Immagina dunque che dio dica: <<Che avete da rimproverarmi, voi che avete fatto la scelta giusta? Ho circondato gli altri di falsi beni e ho illuso quelle anime vuote come con un lungo e ingannevole sogno: le ho ornate d'oro d'argento di avorio, ma dentro non c'è nulla di buono. Costoro che guardi come fortunati, se li vedi non dal lato che mostrano ma da quello che celano, sono miseri, squallidi, laidi, a somiglianza delle loro pareti belli solo di fuori; non è cotesta una felicità solida e genuina: è un intonaco, e per giunta sottile.>> >>

III. << "Ma càpitano molte vicende dolorose, orribili, dure a sopportarsi". Non potendo risparmiarvele, ho armato i vostri cuori contro tutto: sopportate da forti. In questo superate dio: lui è fuori dalla sofferenza, voi al di sopra. Non curatevi della povertà: nessuno vive così povero come è nato. Non curatevi del dolore: o si estinguerà o vi estinguerà. Non curatevi della morte: che è o una fine o un passaggio. Non curatevi della fortuna: non le ho dato nessun'arma in grado di colpire l'animo.>>

IV. <<Piccola è la parte di vita che viviamo. SI: tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo.>>

V. <<Sentirai i più dire: <<A partire dai cinquant'anni mi metterò a riposo, a sessant'anni andrò in pensione>>. E chi ti garantisce una vita così lunga? Chi farà andare le cose secondo il tuo programma? Non arrossisci di riservare per te gli avanzi della vita e di destinare al perfezionamento interiore solo il tempo che non può essere utilizzato per niente altro? Non è troppo tardi cominciare a vivere solo quando è tempo di finire?>>

VI. <<Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere, e, ciò che forse ti stupirà di più, ci vuole tutta una vita per imparare a morire.

VII. <<Ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani né lo teme>>

domenica 5 agosto 2012

Memorie di Adriano

I. <<Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleccio fortuito degli uccelli, o verso il contrappeso remoto degli astri>>

II. <<L'intimità dei corpi, che non è mai esistita tra di noi, è stata compensata da questo contatto di due spiriti intimamente fusi l'un con l'altro.>>

III. <<Disteso supino, gli occhi bene aperti, tralasciando per qualche ora ogni pensiero umano, mi sono abbandonato dal tramonto all'aurora a quel mondo di cristallo e di fiamma. È stato il più bello dei miei viaggi.>>

IV. <<La mia mano gli scivolava sulla nuca, tra i capelli. Così sempre, nei momenti più vuoti e opachi, avevo la sensazione di restare a contatto con i grandi soggetti della natura, la densità delle foreste, il dorso muscoloso delle pantere, la pulsazione regolare delle sorgenti. Ma non v'è carezza che giunga fino all'anima.>>

V. <<Non ho figli e non lo rimpiango. Certo, nelle ore di stanchezza e di debolezza, quando ci si rinnega, a volte mi son rimproverato di non essermi dato il fastidio di generare un figlio che mi avrebbe continuato. Ma questo rimpianto tanto vano poggia su due ipotesi egualmente incerte: che un figlio necessariamente ci continui, e che questo singolare miscuglio di bene e di male, questa somma di particolarità infime e bizzarre che costituiscono un individuo meriti davvero d'essere prolungata.>>

VI. <<Non importa; non è necessario che tu mi comprenda. Vi è più d'una saggezza, e sono tutte necessarie al mondo: non è male che esse si alternino.>>

VII. <<Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. UN istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...>>

TACCUINO D'APPUNTI:

VIII. << [...] qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell'arte ed a quelle della vita, ai lavori dell'una e dell'altra, mai noiosi e mai facili; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro completamento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque.>>

IX. << Non c'è nulla di più fragile dell'equilibrio dei bei luoghi. Le nostre interpretazioni lasciano intatti persino i testi, essi sopravvivono ai nostri commenti; ma il minimo restauro imprudente inflitto alle pietre, una strada asfaltata che contamina un campo dove da secoli l'erba spuntava in pace creano l'irreparabile. La bellezza si allontana, l'autenticità pure.

martedì 31 luglio 2012

Basilica di Superga

VICTORIVS.AMEDEVS.REX.ANNO.SALUTIS.MDCCXXVI










VICTORIVS.AMEDEVS.REX.ANNO.SALUTIS.MDCCXXVI

giovedì 12 luglio 2012

Epitteto - Manuale

I. <<Non inorgoglirti per un merito che non ti appartiene.Se un cavallo inorgogliendosi dicesse: <<sono bello>> la cosa sarebbe anche accettabile. Ma tu, quando inorgogliendoti affermi <<ho un bel cavallo>>, sappi che ti stai vantando di un pregio che appartiene al cavallo. Che cosa dunque ti appartiene veramente? L'uso delle rappresentazioni. Perciò, quando ti comporti secondo natura nell'uso delle rappresentazioni, allora inorgoglisciti, perché ti inorgoglirai di un pregio che è tuo.>>

II. <<Se uno ti viene a dire che un tale parla male di te, non cercare di difenderti, ma rispondi: <<Senz'altro costui ignora gli altri miei difetti, altrimenti non avrebbe parlato solo di questi>>.>>

III. <<Se qualcuno affidasse il tuo corpo al primo che incontri, ti adireresti; eppure tu che affidi la tua mente al primo che capita, di modo che, se questi ti insulta, essa ne è turbata e sconvolta, non te ne vergogni?>>

IV. <<Se ti assumi un ruolo al di sopra delle tue possibilità, non solo ci fai una brutta figura, ma tralasci anche il ruolo che potevi svolgere.>>

sabato 7 luglio 2012

Laelius de amicitia

Marco Tullio Cicerone - Laelius de amicitia 




I. <<Io, solamente vi posso raccomandare di anteporre l'amicizia a tutte le cose umane: nulla è infatti così conforme alla natura, così adatto e ai momenti felici e ai momenti avversi.>> 


II. <<Poiché l'amicizia in questo è superiore alla parentela, ché alla parentela può togliersi l'affetto, all'amicizia no: tolto l'affetto, l'amicizia non c'è più; la parentela invece rimane.>>


III. <<L'amicizia fra uomini così fatti ha tanti lati belli quanti a stento posso dire. Prima di tutto in che modo può essere «vitale», come dice Ennio, una vita che non riposa nel mutuo affetto con un amico? E quale cosa più dolce che avere uno con cui tu possa dire tutto come con te stesso? E che gran frutto verrebbe dalla buona fortuna, se tu non avessi qualcuno che ne godesse, come tu stesso? La cattiva, poi, sarebbe addirittura dìffícile sopportarla, senza uno che ne soffrisse anche più di te. Insomma, tutte le altre cose che si desiderano servono ciascuna per ciascun fine determinato: le ricchezze, per procacciarsi ciò che occorre; la potenza, per ottenere il rispetto; le cariche pubbliche, per avere lodi e omaggi, i piaceri, per provare la gioia di vivere; la salute, per non sentir dolore e avere la piena disponibilità delle forze fisiche. L'amicizia, invece, tiene in sé uniti moltissimi beni: dovunque tu vada, la trovi; da nessun luogo è esclusa, non è mai intempestiva, non è mai molesta; sicché non dell'acqua, non dei fuoco ci serviamo, come si dice in più occasioni che dell'amicizia. E io ora non parlo dell'amicizia volgare o della mediocre, la quale tuttavia pure piace e giova, ma della vera e perfetta, quale fu quella di coloro che son pochi e famosi. Poiché l'amicizia fa più splendida la buona fortuna e più lieve l'avversa, condividendola e facendola così anche propria.>>


IV. <<Prima lege dell'amicizia sia questa: che agli amici chiediamo cose oneste, per cagione degli amici cose oneste facciamo, non aspettiamo neppure di esserne richiesti; sempre vi sia sollecitudine; non vi sia mai esitazione; anzi osiamo francamente dar consigli; moltissimo valga nell'amicizia l'autorità degli amici che persuadono al bene; e la si usi ad ammonire non solo apertamente, ma anche severamente, se la cosa lo richiederà, e a una tale autorità si obbedisca>>


V. <<Razza d'uomini odiosa, quella di coloro che rinfacciano i servizi resi; mentre questi li deve ricordare colui al quale furono fatti, non colui che li fece.>>


VI. <<Ma la maggiorparte degli uomini hanno l'irragionevole, per non dire impudente, pretesa di avere un amico tale quali essi non sanno essere; e quel che essi non dànno agli amici, lo desiderano da loro. Sarebbe giusto invece che prima uno fosse lui un uomo perbene, e poi cercasse un altro del tutto simile a sé, Fra uomini così fatti si può rafforzare quella stabilità dell'amicizia di cui già da tempo trattiamo; e cioè quando persone congiunte dall'affetto in primo luogo comanderanno a quelle passioni delle quali gli altri sono schiavi; in secondo luogo avranno piacere dell'equità e della giustizia; e a tutto uno si sobbarcherà per l'altro , e niente mai uno chiederà all'altro che non sia onorevole e retto; e non solo si coltiveranno e ameranno, ma anche si rispetteranno l'un l'altro. Toglie difatti all'amicizia il suo maggior ornamento, chi le toglie il reciproco rispetto>>

VII. <<Perciò (e lo si deve dire più e più volte) bisogna scegliere quando si è giudicato, non giudicare quando si è scelto.>>

venerdì 20 aprile 2012

Recensione di "Man Alive" - > English version below! <




"Man Alive" degli Everything Everything.


Settembre 2010 - Polydor UK 




Sarebbe facile dire che "Man alive" è un ordinario e scialbo album di indie come ce ne sono molti. Invece merita sicuramente un ascolto più approfondito. Tante sono le influenze rintracciabili all'interno di "Man alive", si va dal pop al grunge, sprazzi di progressive si intersecano a suoni barocchi. Accenni minimalisti si affacciano nel brano "Schoolin'" dove sembra di sentire riecheggiare la chitarra di Metheny di "Electric Counterpoint", e nel brano "Come Alive Diana" dove un riff di fiati ci ricorda alcune composizioni di Glass.
Interessante è la parte ritmica di tutti brani, a partire da "MY KZ, UR BF" che ci annuncia la decisione da parte del gruppo di non affidarsi alla "dittatura pop" del quattro quarti. Molto ricercati e soprattuto ricchi i suoni su tutto il disco, quasi a voler dimostrare l'intenzione di non annoiare e di sorprendere continuamente l'ascoltatore. 
Estrosi ed eccentrici i testi, degni di un opera non dozzinale nella concezione e nell'esecuzione. Menzione d'onore per "Photoshop Handsome", divertente in tutto, testi canzoni e video. 

PERCHE' LO CONSIGLIO:  

Sicuramente per la grandissima vivacità, la bizzarria con la quale sono stati scritti ed arrangiati i brani. Un album sorprendente, dove la cura per la creazione e la realizzazione che di solito viene dedicata ai soli singoli in uscita promozionale quì suona evidente in tutte e dodici le tracce. E non sorprende infatti sapere che l'album abbia ricevuto nomination per il premio "Ivor Novello" e per il blasonato Mercury Prize. 

PERCHE' LO SCONSIGLIO: 

"Man alive" è sicuramente un disco che rispecchia la volontà di ricercare un sound agitato, dal ritmo incessante. Un ascolto distratto del disco non gioverebbe al vostro giudizio, andrebbe sentito con calma, meglio se di notte, per meglio carpire e gustare le intricate poliritmie e gli arrangiamenti. C'è anche da notare che il continuo utilizzo del falsetto da parte del cantante Jonathan Higgs può stancare (e ha stancato anche me). Altresì se vi attendete grandi ballads, melodie indeminticabili o assoli da maestri, questo è un disco che non fa per voi. 

Mattia.



ENGLISH VERSION:

"Man Alive" by Everything Everything

September 2010 - Polydor UK 




It would be easy saying that "Man Alive" is an ordinary and dull indie album as many others you might have heard before. This one surely deserves a thorough examination. Many are the influences traceable in the album, you get to hear some pop, some grunge, some progressive and some baroque pop. Hints of minimalist music are present, especially in the track "Schoolin'" where you get to hear that ethereal-like sound you might have heard in "Electric Counterpoint" by Metheny, or you could hear Glass-like brasses in "Come alive Diana". 
Very interesting are the rhythmic aspects of all the songs, and that comes almost as a statement in "MY KZ, UR BF" where the band almost tells us "we don't want to mess with 44 here!". Very sought-after and rich are the sounds throughout the album, almost as if the band wanted to state their intention not to bore and to continuously surprise the listener. 
Flighty and eccentric are the lyrics, worthy of a work that surely isn't ordinary in its conception nor execution. Worthy of mention is the track "Photoshop Handsome", which is fun in all its aspects: sound, lyrics and video. 


WHY DO I SUGGEST IT:

Surely for its powerful vitality, the oddity used to write and arrange all the tracks. This is a surprising album, where the care invested in crafting each tracks comes as a surprise in a time in which generally just the songs programmed to be released as singles are receiving the appropriate "love". It doesn't come as a surprise to me reading that the album received nominations for the "Ivor Novello" and the "Mercury prize".

WHY DO I ADVISE AGAINST IT:

"Man Alive" surely is an album that reflects the will to grasp for an agitated sound, using a nervous unrelenting rhythm. A careless listening is ill-advised, you should give it a listen at night, when you can better appreciate its intricate polyrhythms and arrangements. It can also be noted that the continuous use of falsetto by singer Jonathan Higgs can be tiring (it was tiring to me). Also, if you are expecting great ballads, unforgettable melodies, or breathtaking solos, this is not an album for you.

Mattia

venerdì 13 aprile 2012

Un calcio in bocca fa miracoli

"La grande distribuzione ha spazzato via i negozietti di quartiere: oramai siamo tutti anime afflitte in fila alla cassa, che guardano con odio il carrello troppo pieno del tale che ci precede"

"Tornando a casa in auto, mi convinsi che il talento e l'intelligenza partecipano a due campionati diversi"

giovedì 12 aprile 2012

Plutarco - Consigli politici.

I. "Anzitutto sia stabilita per l'attività politica come base sicura e stabile  la scelta che trae il suo principio sul giudizio e sulla ragione e non un fuoco di paglia dettato da vanagloria o amore di contesa o per mancanza di altre attività. come infatti coloro che in casa non hanno niente di buono da fare passano la maggior parte del tempo in piazza, anche se non ne hanno alcun bisogno, così alcuni per non avere niente altro da fare di personale che sia degno d'attenzione si buttano nei pubblici affari prendendo la politica per passatempo. Molti d'altra parte, che a caso si sono dati alla politica, una volta che ne siano ben sazi, non possono staccarsene facilmente , provano la stessa condizione di quelli che saliti su una barca per dondolarsi un po', ma poi trascinati in alto mare, ne soffrono il male. [...] Né bisogna volgersi alla politica per desiderio di imbrogli o di lucro"

II. "Quelli che si occupano di politica non solo debbono dare conto di quello che dicono e fanno in pubblico, ma si indaga anche con curiosità, sul loro banchetto, sugli amori, sul matrimonio, su quanto fanno di scherzoso o di serio."

III. "Infatti quando sembra che il potere sia diviso tra molti, non solo la sua grandezza arreca minore invidia, ma anche gli affari pubblici vengono portati a termine in modo migliore. Infatti la ripartizione della mano in cinque dita non l'ha minimamente indebolita, ma ne ha reso l'uso più pratico e adeguato, così colui che fa parte anche con altri nel portar avanti gli affari pubblici, rende più efficace la propria azione nel metterla in comune con altri. Chi invece per insaziabile brama di gloria e di potere avoca a sé tutto il peso della città, e si sobbarca ai compiti per i quali non è nato né è stato esercitato, [...] non ha alcuna scusante quando sbaglia."

venerdì 30 marzo 2012

Seneca - La fermezza del saggio

I. <<Ogni delitto si può ritenere compiuto, relativamente a quanto basta per essere colpevoli, anche prima della riuscita dell'azione>>

II. <<I caratteri fiacchi a causa di un ozio eccessivo, effeminati, che vivono spensierataemnte per mancanza di offese vere, sono turbati da questi insulti, la maggior parte dei quali consiste in un errore di interpretazione. Pertanto chi è turbato dalla contumelia, mostra di non avere né saggezza né fiducia in sé stesso.>>

III. <<Come non si compiacerà dell'omaggio di un mendicante, e non si riterrà offeso se uno dell'infima plebe non ricambierà il suo saluto, così neppure si inorgoglirà se molti ricchi lo guarderanno con ammirazione - sa, infatti, che essi non sono per niente diversi dai mendicanti, anzi sono ancor più miseri; quelli hanno bisogno di poco, questi di molto>>

IV. << Quello che fece Catone, quando subì un colpo in volto: non diede in escandescenze, non punì l'offesa, né la perdonò, ma negò che gli fosse stata fatta; non la riconobbe, dimostrando un animo ancor più grande che se l'avesse perdonata.>>

V. <<Ma la libertà non consiste nel non patire alcunché, ci sbagliamo: la libertà consiste nell'innalzare l'animo al di sopra delle offese e nel formare sé stesso in modo tale che soltanto da sé scaturisca tutto il bene di cui bisogna gioire, nel separare da sé le cose esterne, affinché non si debba condurre una vita inquieta tememndo il riso di tutti, la lingua di tutti.>>

VI <<Difendi il posto che la natura ti ha assegnato. Mi chiedi quale sia questo posto? Quello di uomo. Il saggio ha un altro mezzo di salvezza, opposto a questo: voi, infatti, combattete la battaglia, egli ha già conseguito la vittoria.>>

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De tranquillitate animi

I. <<[...]Tutti si trovano nella stessa condizione, sia quanti sono tormentati dall'incostanza e dal tedio e dal continuo mutamento dei propositi, ai quali sempre piace di più ciò che hanno lasciato, sia quelli che si lasciano marcire tra gli sbadigli. Aggiungi quelli che si agitano non diversamente da quanti hanno il sonno difficile e si mettono in questa o in quell'altra posizione finché non trovano pace per stanchezza: cambiando continuamente modo di vivere da ultimo si fermano in quello in cui li sorprende non il fastidio per i cambiamenti ma la vecchiaia restia ai rinnovamenti. Aggiungi anche quelli che sono poco duttili non per colpa della loro fermezza, ma per colpa della loro inerzia, e vivono non come vogliono, ma come hanno cominciato. Di qui innumerevoli sono le caratteristiche, ma uno solo l'effetto del male, l'essere scontenti di sé. Questo trae origine dall'incostanza dell'animo e da desideri timidi o poco fortunati, laddove gli uomini o non osano quanto vogliono o non lo ottengono e sono tutti protesi nella speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che è inevitabile succeda a chi sta con l'animo in sospeso. Tendono con ogni mezzo al soddisfacimento dei loro desideri e si addestrano e si costringono a obiettivi disonorevoli e ardui, e quando la loro fatica è priva di premio, li tormenta il disonore che non ha dato frutto, ne si rammaricano di aver teso a obiettivi ingiusti ma di averlo fatto invano. Allora li prende sia il pentimento di quello che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro e si insinua in loro quell'irrequietezza dell'animo che non trova vie d'uscita, poiché non possono né dominare i loro desideri né assecondarli, e l'irresolutezza di una vita che non riesce a realizzarsi e l'inerzia dell'animo che s'intorpidisce tra desideri frustrati. E tutto ciò risulta più grave, laddove per il disgusto di una vita infelice piena di impegni si sono rifugiati nell'ozio, nella vita privata, condizione che non più sopportare un animo teso all'impegno civile e desideroso di agire e per natura insofferente del quieto vivere, [...]

Di qui quella noia e quel disgusto di sé, e l'irrequietezza dell'animo che non trova mai un dove, e la triste e penosa sopportazione del proprio ozio, soprattutto quando si ha ritegno nell'ammetterne le cause e il pudore ha ricacciato dentro le ragioni del tormento, mentre le passioni bloccate in uno spazio angusto si soffocano a vicenda senza trovare sbocchi: di li mestizia abbattimento e mille ondeggiamenti della mente incerta, tenuta in sospeso dalle speranze accarezzate, intristita da quelle abbandonate; di li quello stato d'animo di quanti detestano il loro ozio, lamentano di non aver nulla da fare e la terribile invidia verso i successi altrui. Infatti l'inerzia infelice alimenta il livore e desiderano che tutti cadano in rovina, perché loro non hanno potuto progredire; quindi da questo avversare i progressi altrui e dal disperare dei propri l'animo passa ad adirarsi contro la sorte e a covare la propria pena, mentre prova fastidio e disgusto di sè.>>


II. <<Anche la spesa più grandiosa per gli studi conserva un senso finché conserva una misura. A che scopo innumerevoli libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a stento arriva a leggere per intero i cataloghi? La massa di libri grava sulle spalle di chi deve imparare, non lo istruisce, ed è molto meglio che tu ti affidi a pochi autori piuttosto che tu vada vagando attraverso molti. Ad Alessandria andarono in fiamme quarantamila libri; altri loderebbero il magnifico monumento di opulenza regale, come Tito Livio, che ne parla come di un’opera insigne di stile e buona amministrazione dei re: non fu un fatto di stile o di buona amministrazione quello, ma un esibizione di lusso per gli studi, anzi non per gli studi, dal momento che l’avevano apprestata non per lo studio ma per l’apparenza così come per molti ignari anche di sillabari per l’infanzia i libri non rappresentano strumenti di studio ma ornamento delle sale da pranzo. Dunque ci si procurino libri nella quantità necessaria, non per rappresentanza. “Più dignitosamente” dici tu “i soldi se ne andranno per questo che per bronzi di Corinto e quadri.” Ciò che è troppo è sbagliato ovunque. Che motivo hai di giustificare un uomo che si procura librerie fatte di legno di cedro e di avorio, che va in cerca di raccolte di autori o ignoti o screditati e tra tante migliaia di libri sbadiglia, a cui dei suoi volumi piacciono sopratutto i frontespizi e i titoli? Dunque, a casa dei più pigri vedrai tutte le orazioni e le opere storiografiche che esistono, scaffali che arrivano fino al soffitto; ormai infatti tra i bagni e le terme si tiene lustra anche la biblioteca come un ornamento necessario della casa. E le potrei giustificare, certo, se si sbagliasse per troppa passione per gli studi: ora codeste opere di sacri ingegni ricercate e suddivise con i loro ritratti vengono procurate per abbellire e decorare le pareti.>>

domenica 26 febbraio 2012

"Le icone di Hiroshima" di Annarita Curcio

I. <<Contemplando l'icona si percepisce la presenza di ciò che è raffigurato. Così come, quando si ama, la fotografia  della persona amata interpella il cuore di chi osserva.>>

II. <<Le foto del turista - spesso in un viaggio che prevede più tappe visitate secondo il ritmo mortificante dei mordi e fuggi - sono per definizione un tipo di immagine scattate automaticamente e d'impulso, che predilige codici molto convenzionali, ovvero la veduta frontale e la posizione del soggetto al centro dell'inquadratura con il monumento a fare da sfondo. Così facendo, il visitatore di Hiroshima banalizza e profana pur non volendo, il significato originario del monumento. Il Genbaku Dome viene trasformato allora in stereotipo e, pur ereditando una funzione ben precisa, diventa come il Colosseo, il Ponte di Brooklyn o la Tour Eiffel, un luogo "reificato", ovvero ridotto a oggetto e cartolina. Pierre Daninos, celebre umorista francese, autore del libro "un gerto signor Blot, dipinge con pungente sarcasmo lo zelo dei fanatici della fotografia: "non appena arrivano in vacanza davanti a un panorama o un campanile famoso, è al loro apparecchio che pensano innanzitutto questi viaggiatori. [...] Invece di contemplare il panorama con gli occhi della loro testa, queste persone si affrettano a farlo ammirare al terzo occhio estratto dall'addome". Dimentico dell'arte raffinata della contemplazione silenziosa che si impone davanti a certi monumenti, il turista con la mania della fotografia si profonde in una laboriosa ricerca di immagini. Finisce così con il viaggiare senza vedere, col non guardare ciò che fotografa. Sostituisce alla laile incertezza delle impressioni soggettive, la certezza definitiva di un'immagine oggettiva. Torna a casa con un mucchio di foto.cartoline da mostrare ad amici e partenti, senza aver compiuto una vera riflessione sui luoghi che ha appena visitato. Insomma, il Genbaku Dome diventa mero cliché sottoposto com'è a questo regime di citazione seriale da parte di un turismo, che fa un uso amatoriale della fotografia intesa come mero souvenir o, se si vuole , versione moderna della reliquia dei pellegrini: frammento staccato della realtà e portato a casa con la funzione di riattivare il ricordo. Eppure quando impugna la macchina fotografica, il turista crea una barriera fisica tra sé e ciò che lo circonda. In questo modo, egli ridimensiona il proprio coinvolgimento cognitivo ed emotivo, delegando a uno strumento il compito di ricordare.>>


sabato 4 febbraio 2012

Films

-"Tell me Doctor, are you very expensive?"
-"Very"
-"I'm sure you occasionally make exceptions"
-"Never"
-"Well I mean once in a while a case must come along that really interest you"
-"At fifty dollars and hour, all my cases interest me"

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venerdì 3 febbraio 2012

Vita da single

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 Tuttavia mi preme informarti del fatto che, basandosi sulle statistiche ISTAT, potrei morire a 75 anni, quindi verso il 2057- hai ancora solo circa 45 anni di tempo per chiamarmi

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martedì 10 gennaio 2012

Parole da scoprire


misoneismo
[mi-so-ne-ì-smo] s.m.
  • • Atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti di qualsiasi novità o innovazione



Esonimo/Endonimo (dal grecoἔξωéxō, "fuori" e ὄνομαónoma, "nome") è il nome di una località (toponimo) o di una popolazione (etnonimo) o di una lingua, che non è utilizzato all'interno della località o della nazione stessa dagli abitanti locali (né nella lingua ufficiale dello stato, né nella lingua locale) [1]. Il nome utilizzato dagli stessi abitanti locali viene tecnicamente chiamato endonimoautonimo(dal greco ἔνδονéndon, "dentro" o αὐτόautó, "se stesso" e ὄνομα, ónoma, "nome"), o auto-denominazione




pauperismo
[pau-pe-rì-smo] s.m.
  • 1 Povertà endemica, dilagante in vasti strati di una popolazione
  • 2 Ideale di vita ispirato alla povertà evangelica, proprio di alcuni movimenti religiosi medievali: il p. dei francescani
  • • a. 1832

peana [pe-à-na] s.m. inv. (o pl. -ni)
  • 1 Nella lirica greca, canto corale in onore di divinità e di uomini illustri; estens. componimento celebrativo di una vittoria o scritto che esalta il valore, la gloria militare
  • 2 fig. Scritto o discorso encomiastico, anche in senso iron.: intonare un p. al direttore
  • 3 Metro della poesia greca classica
  • • sec. XIV



Ciclotimia:


n.f. [pl. -e] ( psicol.) stato dell’affettività caratterizzato dall’alternanza di periodi di esaltazione e di malinconia 

¶ Comp. di ciclo- e di un deriv. del gr. thymós ‘animo, passione’.


La proairesi e la diaresi 

La proairesi è la facoltà logica, razionale, propria di tutti gli esseri umani, che permette loro di dare significato e distinzione alle esperienze sensibili che di per sé sono indeterminate. Ciò che ha un senso non è infatti la percezione in sé ma il significato che con la ragione noi le diamo.

La diaresi serve ad esprimere un giudizio riguardante la possibilità di servirci delle cose distinguendo se esse siano a nostra disposizione oppure no. Alcune cose sono in nostro esclusivo potere come ad esempio: valutazioni, progetti, desideri, impulsi. Tutte queste entità sono da Epitteto definite "proairetiche".
Non sono invece in nostro pieno potere cose come il corpo, il patrimonio, la reputazione, il lavoro, ecc. Entità queste da lui chiamate "aproairetiche"