Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

domenica 16 giugno 2013

Judith Butler - A chi spetta una buona vita?




I. <<La comprensione delle modalità di attribuzione dei valori differenziali alle vite umane non può che passare anche per la comprensione di come alcune vite siano considerate non-vite - vite "già morte" - molto prima della morte.>>

II. <<Il motivo per cui qualcuno non sarà pianto o è già stato giudicato come indegno di lutto, sta nel fatto che non esiste una struttura di supporto per quella vita. Questo implica che essa, secondo gli schemi dominanti di valore, è svalutata e non considerata degna di sostegno e protezione. L'avvenire della mia vita dipende da questa condizione di supporto: se non sono sostenuto la mia vita viene giudicata debole, precaria e per questo indegna di essere protetta dalle offese o dalla perdita, dunque una vita che non è degna di essere pianta. Se solo una vita degna di lutto può meritare considerazione, anche attraverso il tempo, allora solo una vita degna di lutto potrà beneficiare di sostegno sociale ed economico, di alloggio, cure mediche, lavoro, libertà di espressione politica, di forme di riconoscimento sociale e delle condizioni necessarie alla partecipazione attiva nella vita pubblica (Handlungsfähigkeit). Dobbiamo, per così dire, essere degni di lutto prima di scomparire, prima che si ponga la questione di essere dimenticati o abbandonati. >>


III. <<Dopotutto, questa vita che è mia mi torna indietro riflessa da un mondo incline ad assegnare il valore della vita in maniera differenziale, un mondo in cui la vita è valutata più o meno delle altre. Detto altrimenti, questa vita che è mia riflette su di me un problema di disuguaglianza e potere e, in maniera più ampia, un problema di giustizia e ingiustizia nell'assegnazione del valore.>>


IV. <<Come ci si può chiedere in che modo vivere una vita nella maniera migliore quando non si ha il potere di guidare la propria vita, quando non si è certi di essere vivi, o quando si combatte per provare la sensazione di essere vivi, ma al tempo stesso si teme questa sensazione, e si teme il dolore derivante dalla propria condizione di vita?>>

V. <<Per quanto in forme minime e vitali, raccontare e ascoltare una storia sono ancora una maniera per "condurre una vita", poiché attraverso questi atti si afferma che in qualsiasi occasione possiamo riconoscere la vita e la sofferenza dell'altro.>>

VI. <<É necessario rivendicare per i corpi ciò di cui necessitano per sopravvivere, poiché la sopravvivenza è senza dubbio una precondizione per poter avanzare qualsiasi rivendicazione. Ma questa richiesta non è sufficiente, poiché sopravviviamo per vivere, e la vita, per quanto abbia bisogno della sopravvivenza, dev'esser più che una sopravvivenza per essere vivivbile. Si può sopravvivere senza essere in grado di vivere la propria vita. In alcuni casi, non sembra valere la pena di sopravvivere in tali condizioni. Dunque, abbiamo bisogno di una rivendicazione più ampia a afavore di una vita vivibile: una vita, cioè, che possa essere vissuta.>>

VII. <<Quando le persone si riuniscono per manifestare contro condizioni indotte di precarietà, ciò che stanno facendo è agire in maniera performativa, dando forma corporea all'idea arendtiana di azione concertata. Ma in questi momenti, la performatività della politica emerge da condizioni di precarietà e in opposizione politica a questa precarietà. Quando delle popolazioni sono trascurate dalle misure economiche o più in generale dalle scelte politiche, le loro vite sono giudicate non degne di supporto. In opposizione a tali linee di governo, la politica contemporanea della performatività insiste sull'interdipendenza delle creature viventi e sugli obblighi etici e politic derivanti da ogni scelta che deprivi - o cerchi di deprivare - una popolazione di una vita vivibile. Questo tipo di politica performativa è anche un modo per enunciare e rappresentare un valore in uno schema biopolitico che minaccia di svalutare alcune categorie di persone.>>

VIII. <<Desideriamo vivere, persino vivere bene, all'interno di organizzazioni sociali della vita e di regimi biopolitici che talvolta stabiliscono che le nostre vite sono usa e getta o irrilevanti, oppure, ancora peggio, che cercano di negarle. Se non possiamo sopravvivere senza forme sociali di vita, e se le uniche forme esistenti lavorano contro la prospettiva del nostro vivere, ci troviamo davvero in una situazione difficile, se non impossibile.>>

IX. <<Può darsi che la questione di come vivere una vita buona dipenda dall'avere il potere di condurre una vita, così come dal senso di avere una vita, di vivere una vita o, precisamente, dal senso di essere in vita.>>


X. <<La vita stessa è così deformata distorta che nessuno riesce a vivere una vita buona al suo interno e nemmeno a realizzare il proprio destino come essere umano. Mi spingerei quasi fino a dire che, dato il modo in cui il mondo è organizzato, anche la più semplice richiesta di integrità e decenza deve necessariamente spingere ciascuno di noi a protestare.>> Theodor Adorno


XI. <<Dal mio punto di vista, l'azione concertata che caratterizza la resistenza a volte va ricercata nell'atto verbale o nella lotta eroica, ma altre volte anche nei gesti corporei di rifiuto, silenzio, movimento o scelta dell'immobilità che caratterizzano quei movimenti sociali che mettono in atto i principi democratici di uguaglianza e i principi economici di interdipendenza attraverso le azioni stessi con cui rivendicano una nuova forma di vita, più radicalmente democratica e più profondamente interdipendente.Un movimento sociale è di per sé una forma sociale e, quando rivendica un nuovo modo di vita, una forma di vita vivibile, deve contemporaneamente mettere in atto i principi che cerca di realizzare.>>

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