Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

domenica 7 agosto 2016

L'arte di essere felici - Arthur Schopenhauer

I. <<La ricchezza assomiglia all'acqua del mare; quanto più se ne beve, tanto più si ha sete. La stessa cosa vale per la gloria.>>

II. <<(L'uomo) Trova in sé le disposizioni per tutte le aspirazioni e le forze umane, per diverse che siano; ma il diverso grado di esse nella sua individualità non gli diviene chiaro senza esperienza: e se poi invero si dà alle aspirazioni che sole sono conformi al suo carattere, egli sente tuttavia, specialmente in singoli momenti e stati d'animo, la spinta verso aspirazioni esattamente opposte e inconciliabili con le prime, che, se egli vuol seguire indisturbato le prime, devono essere del tutto represse. Giacché, come la via che percorriamo fisicamente sulla terra è sempre solo una linea, e non una superficie, così nella vita, quando vogliamo afferrare e possedere una cosa dobbiamo lasciare, a destra e a sinistra, e rinunciare a innumerevoli altre. E se a ciò non sappiamo risolverci, e cerchiamo di afferrare invece, come bambini alla fiera, tutto quanto nel passare ci attrae, allora questa è l'insensata aspirazione a trasformare in una superficie la linea della nostra via; corriamo a zig zag, vagolando in qua e in là come fuochi fatui e non approdiamo a nulla. >>

III. <<Velle non discitur. [<<Il volere non si impara>>Seneca, Lettere a Lucilio, X, 81, 14]
Come dell'irremovibilità dei caratteri altrui ci accorgiamo solo con l'esperienza, credendo infantilmente fino ad allora di potere, con argomentazioni ragionevoli, con preghiere e implorazioni, con l'esempio e la nobiltà d'animo, indurre qualcuno a desistere dal suo costume, a mutare il suo modo di fare, a scostarsi dalla sua mentalità, o addirittura ad allargare le sue capacità; così è anche con noi stessi. Solo per esperienza possiamo imparare ciò che vogliamo e ciò che possiamo: fino ad allora non lo sappiamo, siamo senza carattere e dobbiamo spesso essere risospinti con duri colpi dall'esterno sulla nostra propria via. Ma se infine l'abbiamo appreso, allora abbiamo raggiunto ciò che nel mondo si chiama carattere, il carattere acquisito. Questo non è dunque nient'altro che conoscenza perfetta al possibile della propria individualità: è l'astratto, quindi chiaro sapere circa le qualità immutabili del proprio carattere empirico e della misura e tendenza delle proprie forze spirituali e fisiche cioè di tutte quante le forze e le debolezze della propria individualità. Questo ci mette in grado di svolgere ora con riflessione e metodo il ruolo in sé ormai immutabile della nostra persona, che prima sregolatamente lasciavamo alla natura, e di colmare, con la guida di fermi concetti, le lacune che capricci o debolezze causavano in ciò.>>

IV. <<Se dunque abbiamo indagato dove siano le nostre forze e dove le nostre debolezze, educheremo, adopereremo, cercheremo di utilizzare in ogni modo le nostre più spiccate attitudini naturali, volgendoci sempre là dove queste servano e valgano, evitando invece assolutamente, col vincere noi stessi, le aspirazioni a cui abbiamo per natura scarsa attitudine; ci guarderemo dal tentare ciò in cui non riusciamo. Solo chi è giunto a ciò sarà sempre interamente se stesso con piena consapevolezza, né sarà mai abbandonato da se stesso, perché saprà sempre quel che potrà pretendere da se stesso.>>

V. <<Una volta dunque che siamo perfettamente consapevoli delle nostre forze e debolezze, non tenteremo neanche di dimostrare forze che non abbiamo, non giocheremo con falsa moneta, perché tale ciurmeria finisce col fallire il suo scopo. Infatti, dato che tutto l'uomo non è che la manifestazione della sua volontà, nulla può essere più insensato che abbandonando la riflessione, voler essere qualcosa d'altro da quel che si è: perché è una diretta contraddizione della sua volontà, nulla può essere più insensato che, abbandonando la riflessione, voler essere qualcosa d'altro da quel che si è: perché è una diretta contraddizione della volontà con se stessa. Imitare le qualità e le caratteristiche altrui è molto più vergognoso del portare abiti altrui: perché è il giudizio della propria nullità espresso da se stessi.>>

VI. <<La ricchezza assomiglia all'acqua di mare; quanto più se ne beve, tanto più si ha sete. La stessa cosa vale per la gloria.>>

VII. <<Fare di buon grado ciò che si può, e sopportare altrettanto di buon grado ciò che si deve. [Non viviamo infatti come vogliamo ma come possiamo.]>>

IX. <<Limitare la propria cerchia: si offre così minore presa all'infelicità; la limitazione rende felici, eccetera.>>

X. <<Riflettere ponderatamente su una cosa prima di metterla in opera; ma quando lo si è fatto, e si attendono gli esiti, non angustiarsi rimuginando sui pericoli , ma sbarazzarsi completamente della cosa, tenendo chiuso il cassetto dei pensieri che la riguardano e tranquillizzandosi con la convinzione che a suo tempo tutto è stato soppesato a dovere. Se nondimeno sopraggiunge un esito negativo ciò accade perché tutte le cose sono soggette al caso e all'errore.>>

XI. <<La ricchezza conforme alla natura ha anche il suo limite ed è di agevole acquisto, quella richiesta da vane opinioni scade nell'infinito.>>

Nessun commento:

Posta un commento