Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

lunedì 30 giugno 2014

Seneca - Lettere Morali a Lucilio



EPISTULÆ MORALES AD LUCILIUM


I. <<Non chi ha poco, ma chi desidera di più è povero. Che importa quanto denaro quel tale tiene racchiuso nel forziere, che importano la quantità di cereali nei granai, la consistenza degli armamenti nei pascoli o il reddito dei suoi capitali, se sta sempre lì addosso ai beni altrui, se fai i conti non di ciò che ha acquisito, ma di quello che potrebbe ottenere? Mi chiedi quali siano i limiti delle ricchezze? Ecco il primo: avere l'indispensabile, ecco il successivo: avere ciò che è sufficiente.>>

II. <<Continua per la tua strada, capirai che certe situazioni devono essere meno temute proprio perché incutono molta paura. Nessun male che sopraggiunge per ultimo è davvero grande. Tisi appresta la morte: dovresti temerla se potesse restare con te. A questo punto, una delle due: o non ti colpisce o ti sfiora e passa oltre.>>

III. <<La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte  i crucci della vita.: non sa vivere, non vuole morire. Renditi dunque serena la vita lasciando da parte ogni angoscia. Non c'è ricchezza che giovi a chi la possiede se l'animo non è preparato a perderla; nessuna perdita, poi, è più agevole di ciò che, una volta perduto, non può lasciar alcun vuoto. Pertanto, contro un genere di sventure che possono abbattersi anche sugli uomini più potenti, devi armarti di coraggio e di perseveranza. >>

IV. <<La retta via, che ho conosciuto tardi e ormai stanco del mio errare, ecco, la indico agli altri e grido: "Evitate tutto ciò che piace al volgo e che è un dono del caso; davanti a un bene fortuito, quale che sia, arrestate, sospettosi e pieni di timore, i vostri passi. Sono le fiere e i pesci a essere ingannati dalle seduzioni di non so quale speranza. Credete che tutto questo sia dovuto alla generosità della Fortuna? Sono tranelli e basta. Chiunque di voi vorrà trascorrere una vita sicura, stia alla larga il più possibile da codesti suoi favori, appiccicaticci come il vischio, e all'interno del loro campo d'azione noi, sciagurati, sbagliamo anche in questo: crediamo di possederli mentre ne siamo indissolubilmente posseduti.">>

V. <<Sdegnate tutto ciò che una fatica superflua pone come ornamento e splendore, pensate che nulla è ammirevole all'infuori dell'animo e che per un animo grande non c'è nulla di grande>>

VI. <<Cratete, discepolo di Stilbone, di quello, appunto, che ho ricordato nella lettera precedente, avendo visto, come dicono, un ragazzo che passeggiava in un luogo isolato, gli chiese che cosa mai facesse là tutto solo. <<Discorro con me stesso>> disse. E cratete: <<Bada, ti prego, e stai bene attento: parli con una persona del tutto sconveniente.>> >>

VII. <<I desideri naturali hanno limiti precisi, quelli che nascono da un falso metro di giudizio non conoscono limiti dove arrestarsi. La sfera del falso non ha confine: Chi va per la sua strada ha un punto d'arrivo; l'errore si perde in spazi incommensurabili. Ritraiti dunque dalle vanità e quando vorrai sapere se le tue aspirazioni scaturiscono da un desiderio naturale o da cieca cupidigia, considera se hanno un punto ben definito su cui fermarsi. Se a chi si è spinto lontano  rimane pur sempre una meta ancora più lontana, sappi che non si tratta di un desiderio in armonia con la natura.>>

VIII. <<Come è del tutto indifferente che tu ponga un ammalato in un letto di legno o in uno d'oro - dovunque lo avrai trasportato , egli trasporterà con sé la propria malattia - , così non importa che un animo sofferente venga a trovarsi in mezzo alle ricchezze o nella povertà: il suo male lo segue.>>

IX. <<La filosofia insegna ad agire, non a chiacchierare, ed esige che ognuno viva secondo i propri principi affinché la vita non sia in disaccordo con la parola o addirittura con se stessa e uno solo sia il colore di ogni azione. Questa è la suprema funzione della saggezza e il suo carattere distintivo: mettere in armonia le parole con le opere far sì che in ogni circostanza l'uomo sia coerente ed identico a se stesso. "Chi sarà in grado di farlo?" Pochi. Alcuni, però, certamente.>>

X. <<Nessuno nasce ricco: chiunque viene alla luce è tenuto ad accontentarsi di latte e di un quadratuccio di tela: questi sono gli inizi, poi neppure interi regni bastano a contenerci.>>

XI. <<E così, senza scomporti, ascolta le minacce del tuo avversario e sebbene la tua coscienza ti infonda fiducia, tuttavia, dal momento che si impongono molti elementi estranei al processo, spera nel massimo della giustizia e contemporaneamente preparati al massimo dell'iniquità. Ti ricordo però anzitutto di togliere alle cose la loro inquietante componente accessoria e di considerare ciò che ognuna di esse è in concreto: apprenderai che nulla di terribile vi si annida se non la stessa paura. >>

XII. <<Ma come! Hai saputo soltanto ora che la morte ti sovrasta, soltanto ora che l'esilio, il dolore ti minacciano? Per questi affanni tu sei nato: qualunque evento possa accadere, pensiamo dunque debba prodursi per necessità ineluttabile.>>

XIII. <<Diventerò povero: bene, sarò una della maggioranza. Diventerò esule: bene penserò di essere nato nel luogo dove mi manderanno. Sarò incatenato: e con questo? forse che ora sono sciolto? A questo peso del corpo la natura mi ha vincolato. Morirò: vuoi dire che cesserò la possibilità di ammalarmi, di essere ridotto in catene, di rischiare la morte.>>

XIV. <<Moriamo ogni giorno. Infatti giorno dopo giorno ci è tolta una parte di vita e persino quando cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perso l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Fino a ieri tutto il tempo che è passato è perduto; questo stesso giorno, che stiamo vivendo, lo condividiamo con la morte. Non l'ultima goccia esaurisce la clessidra, ma tutto ciò che prima è colato; così l'ora suprema, in cui cessiamo di esistere, non ci ha procurato, lei sola, la morte, ma lei l'ha portata solo a compimento: la raggiungiamo in quel momento, ma da tempo dura il cammino.>>

XV. <<Dunque mi sveglierò, dormirò, avrò fame, sentirò freddo, sentirò caldo. nulla volge al termine, ma tutti gli elementi della realtà sono connessi tra loro in un ciclo, fuggono e si susseguono. Il giorno è incalzato dealla notte, la notte dal giorno, l'estate sfocia nell'autunno, l'autunno è rincorso dall'inverno, che, a sua volta, è sopraffatto dalla primavera. Così tutto passa e ritorna. Non faccio nulla di nuovo, nulla di nuovo io vedo. Talvolta si prova nausea anche di questo. Sono molti coloro che non giudicano un'atrocità il vivere, ma qualcosa di assolutamente inutile.>>

XVI. <<Ma c'è qualcosa che ci rende ancora più grandi nel vivere come se fossimo sotto gli occhi di un uomo virtuoso e costantemente presente. Mi accontento tuttavia che tu agisca, qualunque cosa farai, come se qualcun altro ti osservasse. Ogni male è suggerito dalla solitudine.>>

XVII. <<Poco fa ti dicevo che sono un uomo in vista della vecchiaia; ora temo di avere lasciato la vecchiaia alle mie spalle. Già a questa età o almeno a questo mio corpo, si addice un altro nome; infatti il termine "vecchiaia" designa un et stanca, ma non affranta: mettimi pure nel numero dei decrepiti, ra coloro che toccano il limite estremo dell'esistenza. >>

XVIII <<Mi congratulo tuttavia presso di te con me stesso: non avverto nel mio animo le ingiurie del tempo, mentre le sento nel corpo. Soltanto i miei difetti e tutto ciò che era al loro servizio sono invecchiati. L'animo è vigoroso e si rallegra di non avere molto a spartire con il corpo: ha deposto gran parte del suo peso, esulta e mette in discussione con me la vecchiaia, sostiene che questa è la sua età fiorita. Crediamogli, goda pure di un bene che è tutto suo. >>

XVIX. <<Possa io morire, se il silenzio è così indispensabile, come sembra, a chi si è appartato per i suoi studi. Ecco, risuonano intorno a me da ogni lato grida e rumori svariati: abito proprio sopra uno stabilimento termale. Orbene, immaginati voci di ogni genere che possono rendermi odiose le mi stesse orecchie [...] Aggiungi il bullo litigioso e il ladro colto in flagrante e quello che si compiace della sua voce mentre fa il bagno; mettici quelli che si tuffano nella piscina con il rumore infernale prodotto dall'urto dell'acqua. Oltre a codesta gente che, se non altro, ha voci normali, pensa all'uomo che per mestiere depila le ascelle e che emette continuamente una voce sottile e stridula per farsi notare e che non tace mai, se non quando spilucca le ascelle e fa gridare un altro al suo posto. Ed eccoti ancora le varie grida del venditore di bibite e il salsicciaio e il pasticciere e tutta quella gamma di imbonitori da osteria che con una caratteristica modulazione di voce offrono in vendita la propria merce. Mi sembra che distragga di più la voce umana che il frastuono; la prima, infatti, richiama l'attenzione, il secondo riempie e colpisce soltanto le orecchie. Fra tutto quello che strepita intorno a me senza distrarmi annovero i carri che passano veloci, il fabbro mio coinquilino e il falegname della casa vicina o questo tipo che prova le sue trombette e i suoi flauti presso la Meta Sudante, e non canta, ma urla. Per giunta il suono che si interrompe a ogni momento mi infastidisce più ancora di quello continuo. Ma ormai mi sono fatto talmente il callo a tutti questi disturbi che potrei mettermi a sentire persino un capociurma mentre con voce sguaiata dà la misura ai rematori. Costringo infatti il mio animo a concentrare su di sé l'attenzione a non lasciarsi sedurre da richiami esterni. Tutto faccia pure un gran baccano fuori di me, purché nel mio intimo nulla sia in tumulto, purché non si scontrino fra loro la cupidigia e la paura né siano in dissidio la brama di accumulare ricchezze e l'amore per il lusso e non si tormentino a vicenda. Del resto, a che serve il silenzio di un'intera contrada se le passioni scalpitano? "Tutto era assorto nella placida quiete della notte." È una falsità: nessuna quiete è portatrice di pace se non quella che la ragione ha realizzato. La notte smorza gli affanni, non li elimina; cambia soltanto il tipo di ansia, tanto è vero che i momenti di insonnia di chi cerca di dormire non sono meno agitati delle ore diurne: vera tranquillità è quella in cui si esplicano le facoltà di una mente indirizzata alla saggezza. >>

XX. <<Quell'oscurità mi ha tuttavia fornito un tema di riflessione; ho avvertito nell'animo mio come una scossa e un cambiamento non angoscioso, ma provocato dalla novità e dall'orrore di una situazione insolita. [...] VI sono emozioni, caro Lucilio, che nessun tipo di coraggio riesce a sfuggire: la natura è li per ricordare che anche il coraggio è qualcosa di mortale. Pertanto anche quell'uomo corrugherà il volto di fronte a spettacoli tristi e gli si rizzeranno i capelli davanti a eventi improvvisi e la mente gli si obnubilerà, se, piazzato sull'orlo di un abisso, ne scruterà l'orrida profondità. Non si tratta di paura, ma di una reazione naturale, non dominabile dalla ragione. [...] Come la fiamma non può essere soppressa perché si sprigiona tutt'intorno alla materia che la compire; come l'aria colpita di piatto e di punta non subisce danno e neppure si fende, ma si rifonde intorno all'oggetto dal quale  si è allontanata, così l'anima umana, formata da una sostanza tenuissima, non può essere afferrata nè costretta a restare all'interno del corpo, ma in virtù della sua sottigliezza erompe attraverso le parti stesse da cui è compressa. [...] A questo punto bisogna chiedersi se può essere immortale. Questo ritieni per certo: se sopravvive al corpo, e quindi non perisce, l'anima non può essere in alcun modo e da nulla schiacciata, perché nessuna immortalità  soggiace a eccezioni e niente può nuocere a ciò che è eterno.>>

XXI <<Appunto questo vuol dire Eraclito: <<Nel medesimo fiume discendiamo e non discendiamo due volte>>. Stabile, infatti, è il nome del fiume, l’acqua, invece, è passata. Tale cambiamento è più evidente in un fiume che non nell’uomo, ma anche noi siamo sorpassati da una corrente non meno veloce, e mi stupisco della nostra follia, per cui siamo così attaccati a un bene fugacissimo, il corpo, e abbiamo paura di morire da un momento all’altro, mentre ogni momento è la morte del nostro precedente modo di essere: deciditi a non temere che avvenga una volta ciò che succede ogni giorno!>>

XXII <<Almeno questo: tutte le cose che sono asservite ai sensi, che ci infiammano e ci stimolano, non hanno  secondo Platone, un'esistenza vera e propria. Dunque sono immaginarie e di sé offrono soltanto un aspetto transeunte; nessuna di esse è stabile e consistente, e tuttavia le desideriamo, come se fossero destinate a durare per sempre e dovessimo possederle perennemente. Esseri deboli, quali noi siamo, e mobili come l'acqua, ci siamo fermati tra le illusioni; dobbiamo invece indirizzare il nostro animo verso valori eterni. Volteggiando nelle sfere sublimi, ammiriamo dunque le formule di tutte le cose e la divinità che dimora tra esse e che provvede a tener lontano dalla morte quanto non ha potuto rendere immortale, poiché la materia lo impediva, e a superare con la ragione l'imperfezione del corpo>>

XXIII <<L'intero genere umano, quello che è ora e quello che sarà, è condannato a morire: tale il destino di tutte le città, dovunque sorgano, che hanno affermato il loro dominio e che rappresentano un prestigioso ornamento di altri imperi: un giorno si cercherà dove mai sia stata la loro sede. Esse scompariranno per diverse cause di morte: le une saranno distrutte dalle guerre, le altre verranno consumate dall'ozio, da una pace degenerata in inerzia e da uno stile di vita capace di annientare grandi potentati, cioè da uno sfarzo eccessivo. una repentina inondazione del mare cancellerò queste fertili campagne o scoscendimenti del suolo, che si infossa, le trascineranno in un crepaccio apertosi all'improvviso. Allora perché dovrei sdegnarmi o dolermi, se precedo di un breve momento il destino comune? >>

XXIV. <<Manteniamoci dunque sulle nostre posizioni e perseveriamo: restano difficoltà più numerose di quelle che abbiamo sconfitto, ma una gran parte del progresso consiste nella volontà di andare avanti. Ne sono consapevole: lo voglio, lo voglio con tutte le risorse della mia mente. Vedo che anche tu sei pervaso da questo ardore e che ti affretti con grande slancio verso questi meravigliosi ideali. Affrettiamoci; allora si che la vita sarà un'opera ben fatta; altrimenti è una perdita di tempo e, per la verità, un indugiare vergognoso per gente che tira a campare fra cose tutt'altro che nobili. Facciamo in modo che ogni istante del nostro tempo ci sia proficuo. Ma non lo sarà, se prima non avremo cominciato a essere padroni di noi stessi. >>

XXV. <<Nuovi impegni si presenteranno a ogni piè sospinto: siamo noi che li seminiamo, e così da uno solo ne scaturiscono parecchi. poi ci prendiamo un po' di tempo: "Quando avrò portato a termine quest'affare, mi metterò al lavoro con tutta l'anima" e "Se avrò risolto questa incombenza fastidiosa, mi darò allo studio". Non devi dedicarti alla filosofia quando tu hai tempo a disposizione, ma avere tempo libero per occuparti di filosofia. Bisogna considerare secondaria ogni altra attività per attendere a questa disciplina, per cui nessuna quantità di tempo è abbastanza grande, anche se la vita si prolunga dalla fanciullezza ai limite estremi dell'esistenza. Non fa gran differenza che tu abbandoni del tutto i tuoi rapporti con la filosofia o che li interrompi soltanto, perché la filosofia non rimane nel punto dove stata interrotta, ma alla stregua di quei corpi elastici che, tesi al massimo, riacquistano poi d'un colpo lo stato iniziale, così essa torna al punto di partenza in quanto le è venuta a mancare la continuità. >>

XXVI. <<Che cosa c'è più insensato di questo: che un uomo si compiaccia vanitosamente di un bene che non è opera sua? Tutti questi agi trovino libero accesso presso di noi, ma non aderenza; così, se ci saranno tolti, se ne andranno senza provocarci lacerazione. Serviamocene senza farne un vanto e utilizziamoli con parsimonia come beni lasciati in deposito presso di noi e destinati a scomparire.Chiunque li ha posseduti senza discernimento, non li ha tenuti a lungo: la stessa prosperità, se non viene usata con moderazione, si autodistrugge. [...] sarà opportuna la lungimiranza che imponga a loro misura e parsimonia, perché la sfrenatezza dissolve e spinge nell'abisso con un pungolo incessante le sue stesse ricchezze né mai alcunché di smodato dura a lungo, se la ragione moderatrice non ha imposto i suoi freni. te lo dimostrerà il destino di molte città, i cui imperi rigogliosi caddero proprio mentre erano in fiore e tutto ciò che si era ottenuto con il valore cadde in rovina a causa degli eccessi. Dobbiamo agguerrirci contro tale sventure. D'altra parte non esistono mura inespugnabili contro la Fortuna,: disponiamo dunque le nostre difese all'interno; se questo lato è sicuro, l'uomo può essere duramente attaccato, ma non preso. >>

XXVII. <<Verrano molte migliaia di anni, molte migliaia di generazioni dopo di noi: volgi ad essere il tuo sguardo. Anche se a tutti quelli che vivono quando tu vivi la livida invidia avrà imposto il silenzio, verrà chi ti giudicherà senza avversione, ma anche senza indulgente compiacenza. Se dalla fama deriva alla virtù qualche ricompensa, neppure questa andrà perduta. Certo, i discorsi dei posteri non ci toccheranno, tuttavia ci onoreranno esprimendosi in una coralità di voci, anche se non li percepiremo.>>

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