Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

domenica 5 agosto 2012

Memorie di Adriano

I. <<Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleccio fortuito degli uccelli, o verso il contrappeso remoto degli astri>>

II. <<L'intimità dei corpi, che non è mai esistita tra di noi, è stata compensata da questo contatto di due spiriti intimamente fusi l'un con l'altro.>>

III. <<Disteso supino, gli occhi bene aperti, tralasciando per qualche ora ogni pensiero umano, mi sono abbandonato dal tramonto all'aurora a quel mondo di cristallo e di fiamma. È stato il più bello dei miei viaggi.>>

IV. <<La mia mano gli scivolava sulla nuca, tra i capelli. Così sempre, nei momenti più vuoti e opachi, avevo la sensazione di restare a contatto con i grandi soggetti della natura, la densità delle foreste, il dorso muscoloso delle pantere, la pulsazione regolare delle sorgenti. Ma non v'è carezza che giunga fino all'anima.>>

V. <<Non ho figli e non lo rimpiango. Certo, nelle ore di stanchezza e di debolezza, quando ci si rinnega, a volte mi son rimproverato di non essermi dato il fastidio di generare un figlio che mi avrebbe continuato. Ma questo rimpianto tanto vano poggia su due ipotesi egualmente incerte: che un figlio necessariamente ci continui, e che questo singolare miscuglio di bene e di male, questa somma di particolarità infime e bizzarre che costituiscono un individuo meriti davvero d'essere prolungata.>>

VI. <<Non importa; non è necessario che tu mi comprenda. Vi è più d'una saggezza, e sono tutte necessarie al mondo: non è male che esse si alternino.>>

VII. <<Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. UN istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...>>

TACCUINO D'APPUNTI:

VIII. << [...] qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell'arte ed a quelle della vita, ai lavori dell'una e dell'altra, mai noiosi e mai facili; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro completamento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque.>>

IX. << Non c'è nulla di più fragile dell'equilibrio dei bei luoghi. Le nostre interpretazioni lasciano intatti persino i testi, essi sopravvivono ai nostri commenti; ma il minimo restauro imprudente inflitto alle pietre, una strada asfaltata che contamina un campo dove da secoli l'erba spuntava in pace creano l'irreparabile. La bellezza si allontana, l'autenticità pure.

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