Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

venerdì 12 settembre 2014

Lucrezio - De rerum natura



I. <<Infatti non crederai di certo che in qualunque sostanza possano esistere il pensiero e la natura dell'animo; come agli alberi non possono nascere in cielo, né le nubi dalle acque salmastre, né i pesci vivere nei campi, né il sangue scorrere nel legno o un liquido sgorgare dai sassi, ma è fermamente stabilito dove ogni cosa cresca o risieda, così la natura dell'animo non può sorgere da sola fuori del corpo, né sussistere distaccata dai nervi e dal sangue.

II. <<Affermare poi che gli dèi abbiano creato la splendida compagine del mondo a beneficio degli uomini e che perciò se ne debba lodare l'ammirevole opera, e ritenere che essa sarà eterna e immortale, giudicando un crimine scrollare con violenza dalle sue basi tutto ciò che i numi fondarono con antica decisione a favore della stirpe umana, e sconvolgere ogni cosa dalle sue più profonde radici: enunciare questo e aggiungere altri fittizi argomenti di tal genere, o Memmio, è puro delirio.>>

III. <<E ora contempla il cielo, che sopra e intorno alla terra la racchiude intera nel suo abbraccio;>>

IV. <<come a ogni uomo non pesano le proprie membra, né il capo sovraccarica il collo, né avvertiamo che il peso del corpo poggia interamente sui piedi; mentre ogni peso che venga imposto dall'esterno ci arreca molestia anche se sovente è minore. [...] Non vedi come la potenza dell'anima, sebbene oltremodo sottile, sostiene anche il grande peso del corpo, poiché è congiunta e creata insieme a esso? [...] Non vedi ormai quanto potere abbia una tenue forza, se unita a un corpo pesante, come l'aria è unita alla terra e la forza dell'anima a noi?>>

V. <<Il tempo infatti trasforma la natura del mondo, ed è legge che una nuova condizione s'avvicendi sempre alla precedente e impronti di é l'universo: nulla rimane uguale a se stesso, tutto si trasforma, la natura costringe ogni cosa a modificarsi e a mutare.>>

VI. <<Più tardi si scoprirono il piacere della ricchezza e l'oro, che sottrasse facilmente la gloria ai forti e ai belli, poiché coloro che nascono di membra robuste e avvenenti, per lo più seguono comunque il corteggio del ricco. Se invece si guidasse la vita con giusto criterio, la grande ricchezza dell'uomo sarebbe vivere sobriamente e con animo quieto; infatti non v'è mai miseria del poco. 

VII. <<Lascia dunque che si affannino invano e sudino sangue coloro che lottano sull'angusto sentiero dell'ambizione, poiché sanno per bocca d'altri e dirigono il loro desiderio ascoltando la fama piuttosto che il proprio sentire; né questo accade e accadrà più di quanto è accaduto in passato. 

VIII. <<Dunque, uccisi i monarchi, giacevano abbattuti l'antica maestà dei troni e gli scettri superbi, e la nobile insegna della fronte sovrana piangeva cruenta sotto i piedi del volgo il grande onore perduto: si calpesta infatti con gioia ciò che prima si è troppo temuto.>>

IX. <<Non v'è alcuna devozione nel mostrarsi spesso con il capo velato, nel rivolgersi a una statua di pietra e visitare tutti i templi, nel gettarsi prosternati in terra e nel tendere le palme davanti ai templi degli dèi, nel cospargere le are di molto sangue di animali, nel reiterare offerte votive: devozione è piuttosto poter guardare tutto con mente serena.>>

X. <<Così il tempo avvicenda il turno di tutte le cose. Ciò che prima ebbe onore, diventa di nessuna importanza; e subito altro lo segue ed esce dall'antico dispregio e ogni giorno di più si ricerca, e scoperto fiorisce di lodi e tra gli uomini vive in mirabile stima.>> <<Sic volvenda aetas commutat tempora rerum>>

XI. <<E dunque il genere umano senza frutto e invano si affanna in perpetuo, consumando la vita in inutili travagli; e non fa meraviglia, perché non conosce misura al possesso, e nemmeno fin dove il genuino piacere si accresca>>

XII <<Anche il tempo non esiste per se, ma dalle cose stesse deriva il sentimento di cio che incalza. di quello che poi seguira.>>

XIII <<Infine, se tutto si crea dai quattro elementi e in questi ancora tutto si dissolve, come possono essi chiamarsi principi delle cose, e non le cose all'opposto credersi loro principi? Gli uni dagli altri infatti si generano e mutano a vicenda il colore e tutta la loro natura fin dall'inizio dei tempi.>>

XIV <<Anche l'avidità e la cieca ambizione, che spingono i miseri uomini a varcare i confini del giusto e talvolta, facendosi complici e ministri di scelleratezze, a sforzarsi notte e giorno con assillante fatica per emergere al sommo della potenza: queste piaghe della vita, sono alimentate in gran parte alla paura della morte. Perché di solito l'infame disprezzo e la povertà amara sembrano remoti da una vita dolce e sicura e quasi già sostare davanti alla porta della morte; e mentre gli uomini, incalzati da un vano terrore, vorrebbero essere fuggiti via da esse e trovarsi lontano, con il sangue civile accrescono la loro fortuna e raddoppiano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage,; crudeli gioiscono al triste funerale del fratello e odiano e temono le mense dei consanguinei. In simile modo, sovente per lo stesso timore, li macera l'invidia che incede tra splendidi onori, mentr'essi si lagnano di voltarsi fra le tenebre e nel fango: Altri si consumano per desiderio di statue e di fama; e spesso a tal punto, per timore della morte, afferra gli uomini odio del vivere e del vedere la luce, che con l'animo pieno d'angoscia si dànno essi la morte, immemori che la fonte degli affanni è questo timore, questo annienta la dignità, questo spezza i legami dell'amicizia e insomma induce a rinnegare la pietà. Già più volte cercando di sfuggire gli abissi d'Acheronte. Perché, come i fanciulli trepidano e di tutto hanno paura nell'oscurità cieca, così noi nella luce temiamo talvolta di cose per nulla più temibili di quelle che i fanciulli paventano nel buio e immaginano vicine ad accadere. Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre devono dissiparle non i raggi del sole né i fulgidi dardi del giorno, ma la contemplazione e la scienza della natura.>>

XV <<Poi, quando il corpo giace in profonda quiete, ci sembra allora di vegliare e di muovere le membra, e nella caligine cieca della notte crediamo di vedere il sole e la luce del giorno, e in chiusa stanza ci sembra di mutar cielo, mare, fiumi, montagne, di traversare a piedi pianure, di udir suoni, mentre i severi silenzi della notte durano tutt'intorno, e di pronunciare parole mentre si tace. Altri fatti simili a questi ci appaiono in grandissimo numero, e cercano tutti, diresti, di scuotere la fede nei sensi: ma invano, perché la maggior parte d'essi ci inganna per le opinioni della mente che noi stessi aggiungiamo, sì che valgono come viste cose non viste dai sensi: in verità niente è più arduo che distinguere i fatti evidenti dalle ipotesi, che l'animo subito da sé aggiunge.>>
 
XVI <<Ma, finché è lontano, ciò che desideriamo ci sembra superare ogni altra cosa; poi, quando quello ci è dato, aneliamo ad altro ancora, e un'eguale sete di vita perennemente ci affanna. >>

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