Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

martedì 16 giugno 2015

Hannah Arendt - Alcune questioni di filosofia morale

Hannah Arendt - Alcune questioni di filosofia morale



I. <<'Un certo numero di criminali, come sappiamo fin troppo bene, è sempre presente in ogni comunità, e benché la maggior parte di loro soffre di un'immaginazione piuttosto limitata, alcuni non sono probabilmente da meno di Hitler & C. Ciò che costoro fecero fu orribile il modo in cui essi gestirono prima la Germania nazista e poi l'Europa occupata è di grande interesse per le scienze politiche e lo studio delle diverse forme di governo. Tuttavia, nè l'uno nè'altro di questi problemi è di natura morale. La morale crollo o si afflosciò come un vasto insieme di mores - usi, costumi, convenzioni che si possono cambiare quando si vuole - non a causa dei criminali, ma della gente ordinaria, che fino a quando le norme morali erano accettate da tutti non si sognó mai di mettere in dubbio ciò che era stato insegnato. Ora, questo problema non si risolve semplicemente con il dire, come dobbiamo pur dire, che la dottrina nazista ci sciolse come neve al sole senza fare colpo con il popolo tedesco, che la morale criminale di Hitler fu restituita al mittente in un batter d'occhio, non appena giunse la notizia della sconfitta decretato dalla <<storia>>. Al contrario a tutto questo ci induce a pensare che abbiamo assistito non una bensì due volte al totale collasso dell'<<ordine>> morale: tutto questo, più che indurci a parlare di una normalità ritrovata, come spesso si è tentati dire, non fa che rafforzare i nostri dubbi e sospetti.' H.A.>>

II. <<Socrate è stato il primo a porsi, nell'Eutifrone di Platone: 'Gli dei amano la pietà perché è pio farlo, o è pio farlo perché essi amano la pietà?' Detto altrimenti: 'Gli dei amano il bene perché è bene o noi definiamo bene ciò che gli dei amano?' Socrate lascia in sospeso la domanda, e un credente sarebbe ovviamente costretto a dire che il bene è bene per la sua origine divina, perché è in accordo con la legge prescritta da Dio alla natura e all'essere umano, che rappresenta la vetta della sua creazione. Nella misura in cui l'uomo è una creazione di Dio, le stesse cose che Dio <<ama>> devono apparire buone all'uomo. E in questo preciso senso Tommaso d'Aquino osservò una volta quasi stesse rispondendo a Socrate, che Dio ordina il bene perché è bene, al contrario di Duns Scoto, che invece sosteneva che il bene è tale perché Dio lo ordina. In ogni caso, anche nella forma più razionalizzata, il carattere vincolante del bene per l'uomo sta tutto nel comando di Dio.>>

III. <<La condotta morale, da quanto si è detto finora, sembra dipendere essenzialmente dal rapporto che l'uomo intrattiene con se stesso. Questi non deve contraddire se stesso, facendo eccezioni solo per sé, e non deve porsi in una situazione in cui sia indotto a disprezzarsi. In termini morali, ciò dovrebbe bastargli a distinguere il bene dal male, non solo ma dovrebbe bastargli anche il fare il bene invece del male. Kant, con la coerenza di pensiero che è tipica del grande filosofo, pone pertanto i doveri dell'uomo verso se stesso in cima all'elenco dei doveri dell'uomo in generale, prima ancora dei doveri verso gli altri - cosa per certi versi sorprendente, che contraddice che l'idea che noi tutti ci facciamo normalmente del comportamento morale. Per lui, il problema non è tanto quello dell'altro quanto quello dell'io, non è tanto quello della bonarietà e mansuetudine, quanto quello della dignità della persona. La norma di riferimento non è l'amore del prossimo o di se stessi, bensì il rispetto di se stessi.>>

IV. <<Il processo di Socrate ruota attorno a questo punto: Socrate non parla di nuove divinità, ma revoca in questione ogni cosa. E per coloro che scambiano il non.risultato di questo continuo domandare per il suo risultato, questo suo perenne dubitare di tutto può anche diventare pericoloso. Nessuno che impari a pensare può tornare a obbedire come faceva prima, non per spirito ribelle, ma per l'abitudine ormai acquisita di mettere in dubbio ed esaminare ogni cosa. Nell'Apologia, l'ultima risposta di Socrate ai giudici è del resto: non posso smettere di esaminare. Ma perché non poteva farlo in silenzio? Per la priorità del dialegesthai sul dianoiesthai>>

V. <<Socrate pensava che gli uomini fossero due-in-uno, non nel senso che avessero tutti una coscienza e un'autocoscienza, ma nel senso più attivo e peculiare di quel dialogo silenzioso, di quel rapporto intimo e costante che tutti intrattengono con se stessi. Se solo avessero capito questo - così probabilmente Socrate pensava - gli uomini avrebbero anche capito quanto fosse importante non rovinare questo dialogo interiore con se stessi. Se la facoltà del linguaggio distingue l'uomo dalle altre specie animali - ed era esattamente questa l'opinione dei greci, poi ribadita da Aristotele nella sua celebre definizione dell'uomo - allora in questo silenzioso dialogo tra me e me risiede la mia stessa umanità. In altre parole, Socrate credeva che gli uomini non fossero semplicemente animali razionali, ma anche animali pensanti, e che avrebbero dovuto sacrificare ogni loro ambizione, e perfino soffrire il male, pur di non rinunciare a questa facoltà. >>

VI. <<Se mi rifiuto di ricordare, in effetti, mi trasformo in una creatura pronta e predisposta a compiere qualsiasi atto - così come se dimenticassi immediatamente il dolore, mi trasformerei in una creatura dotata di un coraggio sconsiderato.>>

VII. <<Non si tratta tanto di amare se stessi come si amano gli altri, quanto di nutrire un maggiore attaccamento verso quel partner silenzioso che accompagna ciascuno di noi, poiché noi dobbiamo a lui, in un certo senso, più di quanto dobbiamo a chiunque altro. Il timore di perdere se stessi è perfettamente legittimo, in quest'ottica, poiché si tratta del timore di perdere la capacità di parlare con se stessi. E non soltanto il dolore e la tristezza, ma anche la felicità e tutte le altre emozioni risulterebbero insopportabili se dovessero restare mute e inarticolate. >>

IIX. <<Anche quando cene stiamo per i fatti nostri, anche allora, non appena articoliamo questo esser-soli ci ritroviamo in compagnia, e per la precisione in compagnia di noi stessi. L'isolamento, l'incubo che ci può assalire, come tutti ben sappiamo, nel bel mezzo di una folla, è per l'appunto l'incubo di essere abbandonati da noi stessi, l'incubo di una temporanea incapacità di diventare due-in-uno nel momento in cui nessun altro ci tiene compagnia. Da questo punto di vista, è vero allora che la mia condotta con gli altri dipende in larga misura dalla mia condotta con me stesso. E non si tratta di appellarsi a doveri o obbligazioni: si tratta invece di appellarsi alla nostra capacità di pensiero e di ricordo, una capacità che noi possiamo sempre perdere.>>

IX. <<Agostino confida abbastanza nel potere della volontà: ' non puoi immaginare nulla che sia in nostro potere più di quando, volendo agire, agiamo. Di conseguenza, nulla è in nostro potere più della volontà stessa.' Tuttavia , a causa della resistenza che la volontà incontra in se stessa, Paolo in un certo senso aveva ragione. È infatti nella natura stessa della volontà 0in parte di volere e in parte di non volere', dato che se la volontà non incontrasse resistenza in se stessa, essa no avrebbe bisogno di dare ordini ed esigere obbedienza. Ma la volontà ' non vuole in modo assoluto; quindi non comanda in modo assoluto. Comanda per quel tanto che vuole; e non è obbedita per quel tanto che non vuole. Se comandasse in pieno, non darebbe in realtà alcun ordine, poiché già sarebbe in atto. non c'è dunque stranezza in questo volere o non volere parzialmente. Due sono perciò le volontà' >>

sabato 2 maggio 2015

HUGO - I MISERABILI


I. "Un giorno con una punta di malizia la governante gli aveva detto: <<Monsignore, voi che traete partito da tutto, ecco là un pezzo di terra inutile; sarebbe meglio averci dell'insalata che dei fiori>>. <<Signora Magloire,>> Rispose il vescovo <<voi sbagliate; il bello è altrettanto utile dell'utile.>> E dopo un attimo di silenzio: <<Più ancora, forse>>. "

venerdì 10 aprile 2015


Marco Tullio Cicerone  - "Da re publica" 





I. "Ma possedere la virtù come un'arte non basta, se non ne fai uso; se un'arte, anche quando non la eserciti, può essere posseduta per se stessa come conoscenza teorica, la virtù invece consiste tutta nell'uso di sé."

sabato 7 marzo 2015

Le confessioni


I. <<Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell'abisso, Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l'amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l'oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.

domenica 11 gennaio 2015

Voltaire - Trattato sulla tolleranza


VOLTAIRE - TRATTATO SULLA TOLLERANZA (1763)



I. <<Come dunque potrà credersi abbastanza sicuro della propria fede da trattare come nemici di Dio tutti coloro che la pensano diversamente da lui? Considererà forse il sentimento interno che lo condiziona come una prova giuridica che gli dà dei diritti sulla vita o sulla libertà di coloro che hanno altre opinioni? Come non potrà accorgersi che coloro che professano un'altra dottrina hanno contro di  lui un diritto altrettanto legittimo di quello che egli esercita contro di loro?>>

II. <<Un'opinione che prescrivesse esplicitamente la sedizione o l'assassinio come un dovere potrebbe essa sola venire trattata come delittuosa; ma, in questo caso, non si tratterebbe più di intolleranza religiosa,  ma dell'ordine e della pace della società.>>

III. <<L'interesse generale dell'umanità questo primo obiettivo di tutti i cuori virtuosi richiede la libertà d'opinione, di coscienza, di culto: in primo luogo perché questo è il solo modo per stabilire tra gli uomini una vera fraternità; poiché dato che è impossibile unirli nelle medesime opinioni religiose, bisogna insegnare loro a considerare, a trattare come propri fratelli quelli che hanno opinioni contrarie alle loro.>>

IV. <<La filosofia, la sola filosofia, questa sorella della religione, ha disarmato mani che la superstizione aveva così a lungo insanguinate; e lo spirito umano, destatosi dalla sua ebbrezza, si è stupito degli accessi a cui aveva trascinato il fanatismo.>>

V.<<"Credi,o ti aborrisco; credi, o ti farò tutto il male che potrò; mostro, tu non segui la mia religione, tu non hai quindi nessuna religione: bisogna che i tuoi vicini, la tua città, la tua provincia ti abbiano in orrore." Se il comportarsi in questo modo fosse conforme al diritto umano, bisognerebbe dunque che il giapponese detestasse il cinese, che a sua volta dovrebbe esecrare il siamese; questi perseguiterebbe i gangaridi, che si getterebbero contro gli abitanti dell'indo; un mongolo strapperebbe il cuore al primo malabarico che trovasse; il malabarico potrebbe sgozzare il persiano, che potrebbe massacrare il turco; e tutti insieme si scaglierebbero contro i cristiani, che si sono così a lungo divorati tra loro. Il diritto all'intolleranza è dunque assurdo e barbaro; è il diritto delle tigri, anzi è ben più orribile, perché le tigri non si sbranano che per mangiare, mentre noi ci siamo sterminati per dei paragrafi. >>

VI. <<"La natura dice a tutti gli uomini: 'Vi ho fatto nascere deboli e ignoranti, perché vegetiate alcuni minuti sulla terra e la ingrassiate con i vostri cadaveri. Poiché siete deboli, aiutatevi; poiché siete ignoranti, illuminatevi e sopportatevi. Quand'anche foste tutti della stessa opinione, il che certamente non accadrà mai, quando non vi fosse che un solo uomo di opinione contraria, gli dovreste perdonare: poiché sono io che lo faccio pensare come pensa. Vi ho dato braccia per coltivare la terra, e un piccolo barlume di ragione per guidarvi; ho messo nei vostri cuori un germe di compassione perché vi aiutate gli uni gli altri a sopportare la vita. Non soffocate questo germe, non corrompetelo, sappiate che è divino, e non sostituite i miserabili fuori della scuola alla voce della natura.
"Sono io sola che vi unisco ancora vostro malgrado grazie ai vostri reciproci bisogni, nel cuore stesso delle vostre guerre crudeli intraprese con tanta leggerezza, teatro interno di errori, di casi e di sventure. Sono io sola che, in una relazione, limito le conseguenze funeste della divisione interminabile tra la nobiltà e la magistratura, tra questi due corpi e quelli del clero, tra il borghese stesso e il coltivatore. Essi ignorano tutti i limiti dei loro diritti; ma tutti ascoltano loro malgrado, alla lunga, la mia voce che parla al loro cuore. Io solo mantengo l'equità nei tribunali, dove tutto sarebbe lasciato senza di me in balìa dell'indecisione e dei capricci, in mezzo a un mucchio confuso di leggi fatte spesso a caso e per un bisogno passeggero, diverse tra di loro da provincia a provincia, da città a città, e quasi sempre in contrasto tra di loro nello stesso luogo. Io sola posso ispirare la giustizia, quando le leggi non ispirano che liti. Chi mi ascolta giudica sempre bene; e chi non cerca che di conciliare opinioni contraddittorie, si perde.
"Vi è un edificio immenso di cui ho posto le fondamenta con le mie mani: era solido e semplice, tutti gli uomini potevano entrarvi con sicurezza; essi hanno voluto aggiungervi gli ornamenti più bizzarri, più grossolani e più inutili; la costruzione cade in rovina da tutte le parti; gli uomini ne prendono le pietre e se le tirano in testa; io grido loro: 'Fermatevi, allontanatevi da queste funeste rovine che sono opera vostra e abitate con me in pace nell'edificio incrollabile che è il mio">>

venerdì 2 gennaio 2015

SAGGI SCETTICI - BERTRAND RUSSELL



I. << C'è una gioia gagliarda nella ferma percezione del nostro vero posto nel mondo, e un dramma più emotivo di qualsiasi altro possibile a coloro che si nascondo dietro le chiuse mura del mito. Vi sono "mari perigliosi" nel mondo del pensiero, sui quali possono navigare soltanto coloro che siano pronti a fronteggiare la propria impotenza fisica. E sopratutto, c'è la liberazione dalla tirannia della Paura , che offusca la luce del giorno e fa degli uomini tanti crudeli vermi striscianti. Nessuno può liberarsi dalla Paura se non osa vedere il suo posto nel mondo così com'è; nessuno può toccare la grandezza di cui pur è capace, se prima non ha la forza di vedere la sua piccolezza.>>