Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

venerdì 4 gennaio 2013

Vita liquida



I. <<Scorrendo come l'acqua ci spostiamo rapidamente, senza mai contrastare la corrente, né fermarci abbastanza da ristagnare o aggrapparci agli argini o alle rocce - gli averi, le situazioni o le persone che attraversano la nostra vita -, e nemmeno tentando di restare fedeli alle nostre opinioni o visioni del mondo; semplicemente attaccandoci, con leggerezza e intelligenza, a ciò che ci si presenta mentre passiamo, che lasceremo poi andare, con grazia e senza avidità.>>

II. <<Libertà di affetti e revocabilità di impegni sono i precetti che ispirano questo genere di persone, quali che siano i loro impegni e affetti.>>

III. <<In opposizione alla mercificazione, alla privatizzazione, e alla commercializzazione di tutto ciò che ha a che vedere con l'educazione, gli educatori devono definire la istruzione superiore come risorsa vitale per la vita democratica e civile della nazione. La sfida che si pone dunque ai docenti, ai lavoratori della cultura, agli studenti e alle organizzazioni del lavoro è quella di unirsi nell'opposizione alla trasformazione dell'istruzione superiore in un settore commerciale >>

IV. <<In breve l'individualità, in quanto atto di emancipazione personale e di autoaffermazione , appare gravata da una aporia congenita, da una contraddizione insanabile. Essa ha bisogno della società sia come culla che come punto d'arrivo. Chiunque cerchi la propria individualità dimenticando, respingendo o sottovalutando tale sobria/oscura verità si candida a una condizione di frustrazione. L'individualità è un compito che la società degli individui assegna ai suoi membri - un compito individuale, da svolgere individualmente, sulla base delle proprie risorse individuali. E tuttavia questo compito è autocontradditorio e votato alla sconfitta: anzi, impossibile da svolgere.>>

V. <<Prima di qualsiasi altra cosa, l'affermazione <<sono un individuo>>  implica che io sono responsabile dei miei pregi e dei miei difetti e che è mio compito sviluppare quelli e rammaricarmi per questi, cercando di porvi rimedio. In quanto compito, l'individualità è un prodotto finale della trasformazione societaria, camuffato da scoperta personale.>>

VI. << La ricerca dell'elusiva individualità lascia ben poco tempo per altre attività. Nuovi segni di distinzione in offerta promettono di condurti alla mèta e di convincere chiunque incontri per strada, o venga a casa tua, che ci sei arrivato davvero, ma al tempo stesso invalidano i segni che ci avevano fatto la stessa promessa un mese, o un giorno, prima. La corsa all'individualità non dà requie.>>

VII. <<Il mercato subirebbe un colpo mortale se lo status degli individui non si sentisse a rischio, se le loro conquiste e i loro averi fossero al sicuro, i loro progetti definiti e la fine delle loro difficili imprese all'orizzonte. L'arte del marketing  è concentrata sull'obiettivo di impedire che le opzioni si chiudano e i desideri siano finalmente appagati. Contrariamente alle apparenze e alle dichiarazioni ufficiali, nonché al senso comune fedele alle une e alle altre, l'accento non cade sull'obiettivo di suscitare nuovi desideri, ma su quello di offuscare i 'vecchi' (leggasi: quelli di un minuto prima) per preparare il terreno a nuove scorribande tra le vetrine. L'orizzonte ideale del marketing consiste nell'irrilevanza dei desideri ai fini del comportamento dei clienti potenziali.>>

VIII. <<Lo Stato, oramai privo di competenza esclusiva sull'economia, sulla sicurezza o sulla cultura, non è in grado di promettere ai propri cittadini la tutela a vita - dalla culla alla bara -  che intendeva offrir loro sino a non molto tempo fa. Meno promesse significano, però, minore bisogno di patriottismo e di mobilitazione spirituale dei cittadini. Difficilmente il patriottismo eroico potrà crescere sul terreno di aspettative depotenziate, non più fecondate da promesse e speranze; e d'altra parte, nell'epoca dei piccoli eserciti professionali, lo Stato non ha più bisogno di eroi. Per i consumatori soddisfatti, tutti presi dai propri affari, va benissimo così: arrivederci e grazie...>>

IX. <<I prodotti culturali non sono fatti per essere usati/consumati sul momento o per dissolversi in un processo di consumo istantaneo, né ciò costituisce il criterio per stabilirne il valore. Hannah Arendt direbbe che la cultura persegue la bellezza, e penso che la scelta di tale nome sia dovuta al fatto che l'idea di <<bellezza>> è l'epitome stessa di un bersaglio elusivo che sfida la spiegazione razionale/causale, che è privo di finalità e di utilizzo apparente, che non serve a nulla e non può essere legittimato da un a qualsiasi esigenza precedentemente avvertita e definita che attenda di essere soddisfatta. Un oggetto è culturale in quanto sopravvive a qualsiasi utilizzo abba potuto presiede alla sua creazione.>>

X. <<Dobbiamo riconoscere che il terreno su cui presumiamo si fondino le nostre prospettive di vita è malfermo - come lo sono il nostro lavoro, le aziende che ce lo offrono, i nostri partner, la nostra rete di amicizie, la reputazione, di cui godiamo in una cerchia sociale più ampia o l'autostima e la fiducia in noi stessi che si accompagnano a tale reputazione. Il 'progresso ', che un tempo costituiva la manifestazione più estrema di ottimismo radicale e una promessa di felicità universalmente condivisa e durevole, si è decisamente spostato verso il polo opposto delle aspettative, distopico e fatalista.. Esso ora rappresenta la minaccia del cambiamento inarrestabile e inevitabile, che non porta pace e sollievo, ma crisi e tensione costanti, senza neanche un attimo di pausa, in una sorta di gioco delle sedie in cui un attimo di disattenzione si trasforma in sconfitta senza appello e nell'esclusione definitiva.>>

XI. <<Nan Ellin, uno degli studiosi più acuti e attenti delle tendenze urbane contemporanee, sottolinea come la protezione dal pericolo sia stata <<uno dei principali incentivi alla costruzione delle città, i cui confini - nelle antiche città della mesopotamia  come nelle città medievali o negli insediamenti indigeni in America - erano perlopiù marcati da grandi recinzioni o cinte murarie>>. Le mura, i fossati o gli steccati segnavano il confine tra 'noi' e 'loro', tra l'ordine e la natura selvaggia, tra la pace e la guerra: i nemici erano coloro che si trovavano fuori di quel perimetro e potevano varcarlo. <<Da spazio relativamente sicuro>>, tuttavia, la città soprattutto nel corso dell'ultimo secolo, ha finito per essere associata <<più al pericolo che alla sicurezza>>. Oggi le nostre città con un singolare capovolgimento del proprio ruolo storico e contro le intenzioni e le aspettative originarie, si stanno rapidamente trasformando da riparo contro i pericoli in principale fonte di pericolo Diken e Laustsen si spingono ad affermare che il <<collegamento>> millenario <<tra civiltà e barbarie si è inveritito. La vita urbana si trasforma in uno stato di natura caratterizzato dal dominio del terrore e accompagnato da una paura onnipresente>>.

XII. <<La società dei consumi riesce a rendere permanente la non-soddisfazione. Uno dei modi per ottenere tale effetto è denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli lanciati, con la massima enfasi possibile, nell'universo dei desideri dei consumatori. Ma un altro sistema, ancor più efficace, agisce lontano dalla ribalta, e consiste nel soddisfare ogni necessità/desiderio/bisogno in modo tale da non poter fare altro che dar vita a nuove necessità/desideri/bisogni. Ciò che inizia come necessità deve concludersi come coazione o dipendenza.>>

XIII. <<Il consumismo è un'economia basata sull'inganno, sull'esagerazione e sullo spreco; inganno, esagerazione e spreco non sono segnali di malfunzionamento di tale economia, ma garanzie della sua salute, e l'unico regime nel quale la società dei consumi può assicurarsi la propria sopravvivenza. L'accumularsi di aspettative deluse è accompagnato dalle masse crescenti di offerte scartate, da cui i consumatori si attendevano (in base alle promesse) soddisfazione per i propri bisogni. Il tasso di mortalità delle aspettative è elevato e in una società dei consumi correttamente funzionante deve crescere costantemente. [...] Affinché le aspettative restino vive e nuove speranze riempiano prontamente il vuoto lasciato da quelle già disattese e scartate, la vita che conduce dal punto di vendita alla pattumiera dev'essere breve e il passaggio rapido.>>

XIV. <<I mercati dei consumi si alimentano dell'ansia che essi stessi evocano, e fanno il possibile per accrescere, nei loro consumatori potenziali. Come già segnalato, il consumismo - in contrasto con la promessa dichiarata (e ampiamente accreditata) degli spot non riguarda il soddisfacimento dei desideri ma l'evocazione di un numero sempre maggiore di desideri: di preferenza proprio quel genere di desideri che, in linea di principio, non possono essere esauditi. per il consumatore un desiderio esaudito non sarebbe più piacevole ed eccitante di un fiore appassito o di una bottiglia di plastica vuota e per il mercato dei consumi esso sarebbe il presagio di un'imminente catastrofe.>>

XV. <<Ancor più precisamente: nell'ambiente liquido-moderno la formazione e l'apprendimento perchè siano utili, devono essere continui, anzi permanenti, cioè protrarsi per tutta la vita. Non è più concepibile un altro tipo di formazione e/o apprendimento: la costituzione dei sé o delle personalità è impensabile in qualsiasi altro modo che non sia quello di una formazione costante e perennemente incompiuta.>>

XVI. <<L'infanzia, come afferma Kiku Adatto, si trasforma in un periodo di <<preparazione alla vendita di sé>>, poiché i bambini vengono addestrati a <<vedere tutti i rapporti in termini di mercato>> e a considerare gli altri esseri umani, compresi i propri amici e familiari, attraverso il prisma delle percezioni valutazioni generate dal mercato.>>

XVII. <<<<Che cosa sia verità o mera opinione>>m afferma Adorno, viene deciso <<dal potere della società, che denuncia come mero arbitrio tutto ciò che non concorda col suo arbitrio. Il confine tra l'opinione sana e quella patogenica  è tracciato in praxi dall'autorità dominante, non dal giudizio informato>>

XVIII. <<Noi esseri umani, armati (per fortuna o per disgrazia) della conoscenza del bene o del male, veniamo giudicati e giudichiamo in base a ciò che è accaduto e a ciò che abbiamo fatto o omesso di fare. Collochiamo sui banchi della giuria ciò che 'dovrebbe essere' e al posto degli avvocati difensori ciò che 'è'. Portiamo con noi (dentro di noi) , ovunque andiamo e qualsiasi cosa facciamo, il presidente del tribunale comunemente chiamato 'coscienza' E crediamo che pervenire a un giudizio abbia senso: che abbia il potere di cambiare noi e il mondo che ci circonda - per il meglio, o per il meno peggio.>>