Sic volvenda aetas commutat tempora rerum.

martedì 11 settembre 2012

American Ground


Langewiesche ha scritto questo libro dopo essere stato l'unico giornalista a cui è stato concesso l'ingresso e la permanenza nello spazio di ground zero. Ci porta una cronaca dettagliata e secca delle lotte per la conquista delle macerie. Nonostante abbia passato mesi in un campo disseminato di morte e distruzione, il suo racconto è limpido, scevro di retorica e di un'imparzialità all'apparenza straordinaria. Interessante l'analisi antropologica e sociologica che effettua sulle varie lotte tra "bande" (Polizia, edili, pompieri), che inaspettatamente sono avvenute per il controllo dei lavori di sgombero.


<<Quando vedi che addirittura quelli dell'EPA vanno in giro armati, cominci a farti delle domande. Che se ne fa un ambientalista di una glock? A chi vuole sparare?>>

<<E poi ovviamente, c'era il Cumulo. Durante i crolli lì si era concentrata un'energia terribile, feroce, e adesso, nel corso dei lavori di rimozione, era di nuovo al centro della scena. Quel cumulo di macerie era qualcosa di estremo già di per sè. Non erano soltanto le rovine di sette grandi edifici, ma una desolazione di acciaio contorto, smisurata, inconcepibile, con pendii montagnosi che esalavano fumo e fiamme, dove si aggiravano dinosauri a diesel. Ed era cosparso di resti umani. Il Cumulo palpitava, gemeva, si modificava in continuazione, e in qualsiasi momento poteva uccidere ancora. Gli uomini non cercavano semplicemente di sgombrarlo, ma ci tornavano giorno e notte per avventarcisi contro. Il  Cumulo era il nemico, l'obiettivo, l'ossessione, il terreno conquistato a palmo a palmo.>>

<<Serviamo l'intera New York City. Ci occupiamo di chiunque muoia in seguito a lesioni o incidenti -  a un evento traumatico., insomma. Deve capire bene la differenza tra causa, meccanismo e lesione  che a loro volta fanno scattare il meccanismo. Il meccanismo è il complesso delle dinamiche fisiopatologiche per mezzo delle quali la malattia e/o lesione esercitano la propria letalità. La modalità invece è un sistema di classificazione, come se la morte fosse un quiz a risposta multipla. Abbiamo sei modalità tra cui scegliere. Primo, la morte naturale, ovvero causata esclusivamente da malattia.Secondo, la morte accidentale, ovvero causata da una ferita che a sua volta deriva da una sequenza di eventi non pianificati da un incidente appunto, e che cos'è un incidente lo impariamo la seconda volta che rovesciamo il latte mentre facciamo colazione. "Oops, mamma, è stato un incidente". Terzo, l'omicidio, ovvero la morte per mano di terzi con vari gradi di intenzionalità. Quarto, il suicidio, ovvero la morte per mano propria e se sempre con un certo grado di premeditazione; che poi in pratica è un auto-omicidio, se vuole. Quinta modalità, le complicazioni terapeutiche; è un caso un po' complicato, ma il modo più semplice per capirlo è la logica del paziente, "senza" la terapia appunto, sarebbe vivo. Sesto, l'indeterminato, ovvero quando non riusciamo a descrivere la modalità della morte con ragionevole certezza medica>>.

<<Invece a volte ci si rende conto che le persone sono un po' come le banane. Lei compra un casco di banane, le mette lì sul ripiano della cucina,ne mangia qualcuna,ma ce n'è sempre un paio che avanza e si copre di macchioline - presto le passa la voglia di mangiarle. Allora le mette nel frigo per farci un frullato, ma finiscono sempre in fondo al ripiano. Passano magari mesi, e un giorno se le ritrova in mano. "Che è 'sta roba?" Niente, è una banana marcia, uguale a tutte le altre banane marce. Le persone sono così. Lasciate lì , morte, in ambienti caldi, alla fine non si distinguono più.>>

<<Le radici di questo strano tribalismo erano così primitive che si possono comprendere solo in termini istintuali. All'origine di tutto c'era la mentalità del <<noi contro loro>>, che nasce dal semplice fatto di portare l'uniforme. Sia tra i pompieri, sia nei due copri di polizia (quella cittadina e quella della Port Authority), il personale impegnato sull'area del Trade Center proveniva in maggioranza dagli stessi sobborghi - perlopiù bianchi - e dalle stesse famiglie, ma poi l'appartenenza alle rispettive organizzazioni aveva instillato un senso di diffidenza, se non di aperta ostilità, verso i membri degli altri corpi. Era un'inimicizia storica, e non facilmente sradicabile, perché tanto più forte quanto più ci si avvicinava al fondo della gerarchia. Al cantiere la chiamavano <<la Battaglia dei Distintivi>>. In realtà andava avanti da anni, con continue discussioni sul controllo del territorio e persino episodi di aperto ostruzionismo in occasione di singole emergenze.>>

sabato 11 agosto 2012

Seneca - La provvidenza - La brevità della vita.

I. <<Fuggite le mollezze, fuggite una prosperità che vi snerva e svigorisce l'animo e, se non interviene qualcosa che gli ricordi la sorte umana, lo fa marcire come nel sopore di una continua ubriachezza. A chi i vetri hanno sempre protetto dalle correnti, a chi tiene i piedi caldi con impacchi sempre rinnovati, a chi regola la temperatura delle sale da pranzo con caloriferi inglobati nel pavimento o nelle pareti, un soffio d'aria potrà far male.>>

II. <<Immagina dunque che dio dica: <<Che avete da rimproverarmi, voi che avete fatto la scelta giusta? Ho circondato gli altri di falsi beni e ho illuso quelle anime vuote come con un lungo e ingannevole sogno: le ho ornate d'oro d'argento di avorio, ma dentro non c'è nulla di buono. Costoro che guardi come fortunati, se li vedi non dal lato che mostrano ma da quello che celano, sono miseri, squallidi, laidi, a somiglianza delle loro pareti belli solo di fuori; non è cotesta una felicità solida e genuina: è un intonaco, e per giunta sottile.>> >>

III. << "Ma càpitano molte vicende dolorose, orribili, dure a sopportarsi". Non potendo risparmiarvele, ho armato i vostri cuori contro tutto: sopportate da forti. In questo superate dio: lui è fuori dalla sofferenza, voi al di sopra. Non curatevi della povertà: nessuno vive così povero come è nato. Non curatevi del dolore: o si estinguerà o vi estinguerà. Non curatevi della morte: che è o una fine o un passaggio. Non curatevi della fortuna: non le ho dato nessun'arma in grado di colpire l'animo.>>

IV. <<Piccola è la parte di vita che viviamo. SI: tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo.>>

V. <<Sentirai i più dire: <<A partire dai cinquant'anni mi metterò a riposo, a sessant'anni andrò in pensione>>. E chi ti garantisce una vita così lunga? Chi farà andare le cose secondo il tuo programma? Non arrossisci di riservare per te gli avanzi della vita e di destinare al perfezionamento interiore solo il tempo che non può essere utilizzato per niente altro? Non è troppo tardi cominciare a vivere solo quando è tempo di finire?>>

VI. <<Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere, e, ciò che forse ti stupirà di più, ci vuole tutta una vita per imparare a morire.

VII. <<Ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani né lo teme>>

domenica 5 agosto 2012

Memorie di Adriano

I. <<Quando tutti i calcoli astrusi si dimostrano falsi, quando persino i filosofi non hanno più nulla da dirci, è scusabile volgersi verso il cicaleccio fortuito degli uccelli, o verso il contrappeso remoto degli astri>>

II. <<L'intimità dei corpi, che non è mai esistita tra di noi, è stata compensata da questo contatto di due spiriti intimamente fusi l'un con l'altro.>>

III. <<Disteso supino, gli occhi bene aperti, tralasciando per qualche ora ogni pensiero umano, mi sono abbandonato dal tramonto all'aurora a quel mondo di cristallo e di fiamma. È stato il più bello dei miei viaggi.>>

IV. <<La mia mano gli scivolava sulla nuca, tra i capelli. Così sempre, nei momenti più vuoti e opachi, avevo la sensazione di restare a contatto con i grandi soggetti della natura, la densità delle foreste, il dorso muscoloso delle pantere, la pulsazione regolare delle sorgenti. Ma non v'è carezza che giunga fino all'anima.>>

V. <<Non ho figli e non lo rimpiango. Certo, nelle ore di stanchezza e di debolezza, quando ci si rinnega, a volte mi son rimproverato di non essermi dato il fastidio di generare un figlio che mi avrebbe continuato. Ma questo rimpianto tanto vano poggia su due ipotesi egualmente incerte: che un figlio necessariamente ci continui, e che questo singolare miscuglio di bene e di male, questa somma di particolarità infime e bizzarre che costituiscono un individuo meriti davvero d'essere prolungata.>>

VI. <<Non importa; non è necessario che tu mi comprenda. Vi è più d'una saggezza, e sono tutte necessarie al mondo: non è male che esse si alternino.>>

VII. <<Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. UN istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...>>

TACCUINO D'APPUNTI:

VIII. << [...] qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell'arte ed a quelle della vita, ai lavori dell'una e dell'altra, mai noiosi e mai facili; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro completamento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque.>>

IX. << Non c'è nulla di più fragile dell'equilibrio dei bei luoghi. Le nostre interpretazioni lasciano intatti persino i testi, essi sopravvivono ai nostri commenti; ma il minimo restauro imprudente inflitto alle pietre, una strada asfaltata che contamina un campo dove da secoli l'erba spuntava in pace creano l'irreparabile. La bellezza si allontana, l'autenticità pure.

martedì 31 luglio 2012

Basilica di Superga

VICTORIVS.AMEDEVS.REX.ANNO.SALUTIS.MDCCXXVI










VICTORIVS.AMEDEVS.REX.ANNO.SALUTIS.MDCCXXVI

giovedì 12 luglio 2012

Epitteto - Manuale

I. <<Non inorgoglirti per un merito che non ti appartiene.Se un cavallo inorgogliendosi dicesse: <<sono bello>> la cosa sarebbe anche accettabile. Ma tu, quando inorgogliendoti affermi <<ho un bel cavallo>>, sappi che ti stai vantando di un pregio che appartiene al cavallo. Che cosa dunque ti appartiene veramente? L'uso delle rappresentazioni. Perciò, quando ti comporti secondo natura nell'uso delle rappresentazioni, allora inorgoglisciti, perché ti inorgoglirai di un pregio che è tuo.>>

II. <<Se uno ti viene a dire che un tale parla male di te, non cercare di difenderti, ma rispondi: <<Senz'altro costui ignora gli altri miei difetti, altrimenti non avrebbe parlato solo di questi>>.>>

III. <<Se qualcuno affidasse il tuo corpo al primo che incontri, ti adireresti; eppure tu che affidi la tua mente al primo che capita, di modo che, se questi ti insulta, essa ne è turbata e sconvolta, non te ne vergogni?>>

IV. <<Se ti assumi un ruolo al di sopra delle tue possibilità, non solo ci fai una brutta figura, ma tralasci anche il ruolo che potevi svolgere.>>

sabato 7 luglio 2012

Laelius de amicitia

Marco Tullio Cicerone - Laelius de amicitia 




I. <<Io, solamente vi posso raccomandare di anteporre l'amicizia a tutte le cose umane: nulla è infatti così conforme alla natura, così adatto e ai momenti felici e ai momenti avversi.>> 


II. <<Poiché l'amicizia in questo è superiore alla parentela, ché alla parentela può togliersi l'affetto, all'amicizia no: tolto l'affetto, l'amicizia non c'è più; la parentela invece rimane.>>


III. <<L'amicizia fra uomini così fatti ha tanti lati belli quanti a stento posso dire. Prima di tutto in che modo può essere «vitale», come dice Ennio, una vita che non riposa nel mutuo affetto con un amico? E quale cosa più dolce che avere uno con cui tu possa dire tutto come con te stesso? E che gran frutto verrebbe dalla buona fortuna, se tu non avessi qualcuno che ne godesse, come tu stesso? La cattiva, poi, sarebbe addirittura dìffícile sopportarla, senza uno che ne soffrisse anche più di te. Insomma, tutte le altre cose che si desiderano servono ciascuna per ciascun fine determinato: le ricchezze, per procacciarsi ciò che occorre; la potenza, per ottenere il rispetto; le cariche pubbliche, per avere lodi e omaggi, i piaceri, per provare la gioia di vivere; la salute, per non sentir dolore e avere la piena disponibilità delle forze fisiche. L'amicizia, invece, tiene in sé uniti moltissimi beni: dovunque tu vada, la trovi; da nessun luogo è esclusa, non è mai intempestiva, non è mai molesta; sicché non dell'acqua, non dei fuoco ci serviamo, come si dice in più occasioni che dell'amicizia. E io ora non parlo dell'amicizia volgare o della mediocre, la quale tuttavia pure piace e giova, ma della vera e perfetta, quale fu quella di coloro che son pochi e famosi. Poiché l'amicizia fa più splendida la buona fortuna e più lieve l'avversa, condividendola e facendola così anche propria.>>


IV. <<Prima lege dell'amicizia sia questa: che agli amici chiediamo cose oneste, per cagione degli amici cose oneste facciamo, non aspettiamo neppure di esserne richiesti; sempre vi sia sollecitudine; non vi sia mai esitazione; anzi osiamo francamente dar consigli; moltissimo valga nell'amicizia l'autorità degli amici che persuadono al bene; e la si usi ad ammonire non solo apertamente, ma anche severamente, se la cosa lo richiederà, e a una tale autorità si obbedisca>>


V. <<Razza d'uomini odiosa, quella di coloro che rinfacciano i servizi resi; mentre questi li deve ricordare colui al quale furono fatti, non colui che li fece.>>


VI. <<Ma la maggiorparte degli uomini hanno l'irragionevole, per non dire impudente, pretesa di avere un amico tale quali essi non sanno essere; e quel che essi non dànno agli amici, lo desiderano da loro. Sarebbe giusto invece che prima uno fosse lui un uomo perbene, e poi cercasse un altro del tutto simile a sé, Fra uomini così fatti si può rafforzare quella stabilità dell'amicizia di cui già da tempo trattiamo; e cioè quando persone congiunte dall'affetto in primo luogo comanderanno a quelle passioni delle quali gli altri sono schiavi; in secondo luogo avranno piacere dell'equità e della giustizia; e a tutto uno si sobbarcherà per l'altro , e niente mai uno chiederà all'altro che non sia onorevole e retto; e non solo si coltiveranno e ameranno, ma anche si rispetteranno l'un l'altro. Toglie difatti all'amicizia il suo maggior ornamento, chi le toglie il reciproco rispetto>>

VII. <<Perciò (e lo si deve dire più e più volte) bisogna scegliere quando si è giudicato, non giudicare quando si è scelto.>>