Indagine filosofica sulla verita.
I. La verità è una tautologia. La realtà oggettiva viene erroneamente percepita come tale dall’esperienza sensoriale umana, che si azzarda anche a definire, e confondere, le molteplici verità come assiomi e articoli di fede. Un peccato, perché la verità è merce gravemente sovrastimata, caleidoscopica materia generata e viziata da noi stessi. Una bulimia ossessiva che ci condanna a vivere non con il credo del dubbio, come dovremmo, ma con quello del vero dichiarato o rivelato, infettando ciò che c’è in noi di più nobile: l’eterna applicazione della curiosità come migliore approssimazione della verità. (Mattia Fioravanti)
II. <<A subire il primo "attacco" è la capacità della soggettività moderna di mettere in questione emettersi in questione, la sua pretesa di sostenersi autonomamente, l'ambizione di saper costruire la realtà, la presunzione di rappresentare la verità prima: il cogito non può infatti rivendicare alcuna "significazione filosofica forte, se la sua posizione non è abitata da una ambizione di fondazione radicale, ultima". Ma proprio la linfa vitale del soggetto moderno risulterà invece il suo veleno. L'idea di un cogito considerato quale fondamento ultimo della realtà nasconde, infatti, un duplice rischio: da un lato, approdare ad una creazione della realtà che ha le sembianze fragili della finzione artificiosa; dall'altro risolversi in un principio vuoto, in un inutile certezza lontana dalla verità, che maschera l'inganno. Cartesio ha avuto il merito di fare dell'uomo il primo e reale fondamento, ma è caduto in "una specie di complicità, di identificazione, tra le due nozioni: il subjectum come fondamento e il subjectum come io", che costringe a fare dell'oggettività il mero prodotto di una rappresentazione e della verità la vana "certezza della rappresentazione". Ciò ha fatto si che l'ente venisse "condotto davanti all'uomo come qualcosa che è obiettivo e di cui egli può disporre">> Luca Alici
III. <<Se Freud smaschera l'illusione di verità che sta dietro la nozione di coscienza, Nietzsche è colui che oscura la verità e conduce nell'oblio la filosofia intesa come disciplina del fondamento. L'io diviene un'interpretazione di tipo casuale; a pagarne lo scotto è la questione stessa alla quale si riteneva che il cogito potesse apportare una risposta definitiva. La critica di Nietzsche resta imprigionata nella decostruzione che opera: la natura rende impossibile all'uomo decifrare l'illusione nella quale vive. A farsi iperbolica è l'indistinzione tra menzogna e verità, che paralizza in un vicolo cieco senza alternativa: "o essa eccettua se stessa da questo regno universale della Verstellung - ma attraverso quale superiore astuzia potrebbe essa sfuggire al sofisma del mentitore? -, oppure vi soccombe - ma allora come giustificare il tono di rivelazione con cui saranno proclamati la volontà di potenza, l'oltreuomo e l'eterno ritorno dell'uguale?". Nietzsche diviene il genio maligno di cartesiana memoria: egli annuncia il mondo esterno come frutto di costruzione di una volontà che si rivela potenza e prepotenza di un'illusione e riduce l'oggettività ad interpretazione.>>
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